Geologia, suoli e sismica

Analisi preliminare per la valutazione del potenziale geotermico in Emilia-Romagna - Rapporto 2008

Analisi dei dati

La Regione Emilia-Romagna ha promosso uno studio geologico sul potenziale geotermico del territorio regionale già all’inizio degli anni ’80 (RER & CNR, 1982). Una delle principali conclusioni di questo studio è che, data l’assenza di intrusioni magmatiche (plutoni) nel sottosuolo dell’Emilia-Romagna, le cause delle anomalie termiche positive (sorgenti termali in Appennino e anomalie termiche positive misurate in pozzi profondi della Pianura Padana) sono da ricercare nella struttura tettonica di questo settore di catena. Non dimentichiamo, infatti, che l’Appennino è una catena ancora in formazione e che il vero fronte non coincide con il limite morfologico collina - pianura ma è localizzato in corrispondenza del Po, sepolto sotto i depositi quaternari padano-adriatici (Pieri & Groppi, 1981).

Le sorgenti termali appenniniche, secondo questo studio, possono essere spiegate con la circolazione in profondità delle acque meteoriche, che si infiltrano nel sottosuolo e risalgono in superficie lungo faglie (v. anche Aquater 1982, 1984; Merlo et al., 1988; Colombetti & Nicolodi, 2005), mentre le anomalie termiche positive in pianura, quasi tutte rilevate in pozzi localizzati al di sopra della dorsale sepolta nota come Pieghe Ferraresi (Pieri & Groppi, 1981; Agip, 1977), possono essere spiegate con una circolazione profonda che raggiunge la successione carbonatica la quale, grazie alle strutture tettoniche di sollevamento (Pieghe Emiliane e Pieghe Ferraresi, Pieri & Groppi, 1981), risale a fino a poche centinaia di metri dalla superficie.

Attualmente, l’energia geotermica è in corso di sfruttamento nella zona di Ferrara e a Bagno di Romagna (FC). Poiché le condizioni geologiche che caratterizzano il sottosuolo di queste zone esistono anche in altre aree della regione, la prospettive di trovare altri campi geotermici sono reali.  

I dati geologici recenti (1983-2008)

I successivi studi geologici, realizzati soprattutto nell’ambito del progetto regionale Carta Geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo 1:10.000 e del progetto CARG 1:50.000 e per la ricerca di risorse idriche e di idrocarburi,  hanno reso disponibile una notevole mole di nuove informazioni sul sottosuolo di tutto il territorio regionale.
Boccaletti et al. (2004), uno degli studi a scala regionale più recenti, mettono in relazione la presenza di sorgenti termali con strutture tettoniche recentemente attive.

L’assetto strutturale della pianura e della costa è stato rappresentato grazie alla distribuzione delle isobate della base del Pliocene (Pieri & Groppi, 1981) tratte dal Modello Strutturale d’Italia (CNR, 1992).
Sono state quindi ubicate le sorgenti calde dell’Appennino ed evidenziate le zone di pianura in cui sono presenti pozzi profondi con anomalie termiche positive. Sono state indicate anche le località il cui nome potrebbe essere indicativo della presenza di flussi di calore o di acque calde.
E’ immediato notare che le sorgenti termali sono soprattutto localizzate nelle “finestre tettoniche”, spesso in corrispondenza di faglie importanti (Bobbio, Quara, Salsomaggiore Terme e Tabiano Bagni, S. Andrea Bagni), o in prossimità di zone di faglia di interesse regionale (Porretta Terme, Bagno di Romagna, Lesignano Bagni, Castrocaro Terme, Castel S. Pietro Terme, Riolo Terme, Monticelli Terme). Molte di queste strutture mostrano attività recente (Boccaletti et al., 2004) e sono addirittura considerate potenzialmente sismogenetiche (DISS Working Group, 2005).
E’ inoltre interessante osservare che tutte le principali sorgenti termali appenniniche (Bobbio, Quara, Porretta Terme, Bagno di Romagna) sono ubicate a monte del fronte che provoca il raddoppio del basamento cristallino (Argnani et al., 1997; Boccaletti et al., 2004) e quindi la risalita delle unità più profonde (successione carbonatica mesozoica, successioni oligo-mioceniche tosco-romagnole) a discapito della copertura alloctona “Liguride” che in queste località risulta fortemente ridotta o addirittura assente (finestre tettoniche).
Le zone di pianura con acque profonde più calde sono soprattutto localizzate al di sopra dell’intero arco della dorsale ferrarese, tra Reggio Emilia e Ravenna, lungo la costa tra Cervia (RA) e Rimini, cioè al di sopra dell’estremità settentrionale delle Pieghe Adriatiche, e tra Reggio Emilia e Fiorenzuola d’Arda (PC), al di sopra della parte sud-orientale delle Pieghe Emiliane. Anche queste strutture sepolte, in particolare nei tratti indicati, mostrano evidenze di attività recente (Burrato et al., 2003; Vannoli et al., 2004; Boccaletti et al., 2004; v. anche DISS Working Group, 2005).

I dati sopra descritti indicano che le aree d’interesse sono localizzate soprattutto in corrispondenza di “alti strutturali”.

Le zone di alto strutturale relativo possono essere riconosciute anche analizzando la distribuzione delle anomalie gravimetriche positive.

Nella Gravity map of Italy (Carozzo et al., 1986) e in Cassano et al. (1986) sono indicati massimi relativi nelle zone di:  

  1. Casaglia (FE) e lungo un arco tra Novellara (RE) e Argenta (FE),
  2. tra Noceto e Soragna (PR),
  3. tra Salsomaggiore (PR) e il F. Taro,
  4. tra Scandiano e Castellarano (RE),
  5. nelle colline Bolognesi, tra Casalecchio di Reno e Castel S. Pietro,
  6. tra Cesena e Sogliano al Rubicone (FC),
  7. nella valle del Savio, tra Sarsina e S. Piero in Bagno e in generale in tutto il medio e alto Appennino romagnolo.

 Tutti questi massimi relativi sono correlabili ad "alti strutturali" e a strutture di importanza regionale:  

  1. Casaglia e l’arco tra Novellara e Argenta corrispondono alla parte settentrionale delle Pieghe Ferraresi,
  2. la zona tra Noceto e Soragna corrisponde alla parte sud-orientale dell’alto delle Pieghe Emiliane,
  3. le zone tra Salsomaggiore e il Taro, tra Scandiano e Castellarano, le colline bolognesi e le colline di Cesena corrispondono a zone del margine appenninico-padano immediatamente a monte del PTF (PTF, Pedeapenninic Thrust Front, Boccaletti et al., 1985) che in questi tratti mostra chiare evidenze di attività recente; la zona compresa tra Salsomaggiore e il Taro e le colline di Cesena costituiscono, inoltre, anche “finestre tettoniche” in cui affiorano le unità mioceniche sottostanti la coltre “Liguride”,
  4. nella valle del Savio, infine, è nota una faglia antiappenninica recente; l’Appennino romagnolo è stato interpretato da vari autori (v. ad es. Cerrina Feroni et al., 2002) come una finestra tettonica.

Le zone di minimo relativo corrispondono ad aree in cui maggiori sono gli spessori della coltre “Liguride” in Appennino e a zone di sinclinale nel sottosuolo padano.  

 

Considerazioni conclusive e ipotesi di lavoro

  1. la finestra tettonica di Bobbio e della val d’Aveto,
  2.  la finestra tettonica di Salsomaggiore e la zona del PTF fino alla Val Secchia,
  3.  la finestra tettonica e la faglia dell’alta Val Parma (Miano e zona sud-ovest),
  4.  la zona di faglia e la finestra tettonica dell’alta Val Secchia,
  5.  la finestra tettonica di Gova e la faglia della Val Dolo,
  6.  il crinale emiliano tra il M. Cusna e Porretta Terme (finestra tettonica di Pievepelago e la zona del fronte del "Cervarola"),
  7.  il medio e alto Appennino romagnolo, in particolare l’alto strutturale tra le valli del Montone e del Tramazzo,
  8.  l’alta valle del Savio (zona di faglia),
  9.  l’alto delle colline di Cesena, tra le valli del Bidente e del Rubicone,
  10.  il margine appenninico-padano tra Castel S. Pietro Terme e Castrocaro Terme,
  11.  l’alto delle Pieghe Adriatiche tra Cattolica e Cervia,
  12.  l’arco delle Pieghe Ferraresi dal F. Secchia alle valli di Comacchio,
  13.  l’alto delle Pieghe Emiliane tra Reggio Emilia e Fontanellato (PR),
  14.  il margine appenninico-padano tra la Val Trebbia e la Val d’Arda
  15.  il margine appenninico-padano tra la Val Secchia e la Val Savena,
  16.  la media Val Taro,
  17.  l’Appennino riminese

Nell’Appendice 1 viene presentata un’ipotesi di lavoro e la metodologia di indagine. 

 

Allegati 

 

Appendice 1 - Proposta operativa per la valutazione del potenziale geotermico in Emilia-Romagna

Per la valutazione del potenziale geotermico in Emilia-Romagna si prevedono le seguenti attività, elencate in ordine temporale di realizzazione.  
  1. Ricerche storiche
    Per la migliore definizione delle aree di interesse è necessaria un’ampia ricerca bibliografica di dati pregressi. Questa deve comprendere:
    1. localizzazione geografica
    2. dati analitici
    3. caratteri storici delle località di interesse al fine di valutarne la continuità temporale delle fenomenologie
    La ricerca bibliografica deve necessariamente essere estesa a tutti quegli enti (Enti di Ricerca, Università, ENEL, ENI-Agip, ...) che si sono occupati di questo tipo di risorse. Comunemente, trattandosi in Emilia-Romagna per lo più di fenomeni a bassa entalpia, si presume che siano state censite ma non individuate come risorse strategiche. Il dato analitico ove reperito risulta particolarmente interessante per la caratterizzazione.
  2. Valutazione geochimica e stratigrafico/strutturale complessiva delle aree di interesse
    Tutti i dati chimici disponibili di acque sorgive, termali e di pozzo devono essere elaborati al fine di definire un modello geochimico il più completo possibile in modo da pianificare adeguatamente una fase di prospezione successiva.
    Raccolta e analisi preliminare, da accompagnare alla raccolta dei dati geochimici, di dati geognostici nelle aree limitrofe a potenziali settori geotermici (linee sismiche, pozzi, ...) al fine di effettuare una taratura preliminare dei dati geochimici inquadrandoli nel contesto geologico/strutturale.
  3. Individuazione di aree test in cui realizzare studi pilota
    Dopo l’analisi preliminare per la valutazione del potenziale geotermico in Emilia Romagna ed in base alle anomalie geotermiche riscontrate nei pozzi AGIP si propone di individuare zone potenzialmente interessanti e non ancora indagate in cui realizzare studi pilota di approfondimento per la validazione della metodologia proposta e la reale valutazione del potenziale geotermico. Ad esempio studi pilota potrebbero essere svolti nella zona tra Collecchio e Monticelli Terme (dominio strutturale delle Pieghe Emiliane) o nella zona tra Mirandola e Novi di Modena (dominio strutturale delle Pieghe Ferraresi), in ambito di pianura, nella zona di Lesignano Bagni, in ambito di margine appenninico-padano (dominio strutturale del thrust pedeappenninico), e nella zona di Miano (finestra tettonica dell’Alta Val Parma) o nella zona tra i fiumi Montone e Tramazzo nell’alto Appennino forlivese, in ambito di catena appenninica. La scelta delle aree test dovrà comunque essere concordata con gli enti che parteciperanno agli studi sulla base degli interessi e delle risorse disponibili (dati, risorse economiche, tempi, finalità, ...).
    Gli studi pilota nelle aree test prevedono le seguenti fasi di approfondimento.
    1. Analisi dei dati geologici profondi dell’area test
      Per la definizione dei limiti geometrici del potenziale serbatoio geotermico è necessaria l’analisi dei dati stratigrafici e dei profili sismici disponibili e la consultazione di altre stratigrafie e profili dell’area d’interesse. Ciò richiede di svolgere la ricerca anche presso le società (ENI-Agip, LASMO, altre compagnie, …) che hanno realizzato indagini profonde per la ricerca di idrocarburi in Emilia-Romagna e nelle aree limitrofe (cfr dati disponibili c/o l’UNMIG, Ufficio F5, Bologna). Dal riconoscimento delle principali discontinuità litologiche e tettoniche del sottosuolo sarà possibile definire i limiti idrogeologici e la circolazione idrica profonda. In particolare dovranno essere indagati i rapporti tra le faglie e le successioni carbonatica, oligo-miocenica e plio-quaternaria per identificare le strutture profonde che raggiungono profondità prossime alla superficie (< 1000 m, in genere dell’ordine dei 300-500 m dal piano campagna in pianura, talora affioranti in Appennino)
    2. Analisi dei dati geologici superficiali dell’area test
      Il punto c.1 dovrà essere integrato con un’analisi delle carte e delle foto aeree e satellitari per l’individuazione di evidenze in superficie di faglie e fatturazioni profonde.
    3. Prospezione superficiale nell’area test
      Censimento/rilevamento delle sorgenti e analisi chimico-fisiche delle acque e dei gas e loro elaborazione geochimica al fine di acquisire dati utili per la modellazione della circolazione nel sottosuolo, individuare e caratterizzare i siti più promettenti dell’area test per lo sfruttamento.
    4. Misure del gradiente geotermico nell’area test
      Misure di temperatura nei pozzi più significativi dell’area test che potenzialmente raggiungono il serbatoio geotermico.
    5. Prospezione esplorativa nell’area test
      Sulla base dei risultati dei punti precedenti (c.1-c.4), progettazione e perforazione di pozzi esplorativi per la valutazione del potenziale geotermico dell’area test (profondità, portata, temperatura delle acque) e acquisizione dati al fine di una eventuale modellazione quali/quantitativa del serbatoio geotermico.
    6. Modellazione quali/quantitativa del potenziale serbatoio geotermico
      Stima delle reali potenzialità e simulazione dello sfruttamento futuro.
    I punti a e b richiedono un investimento limitato e al contempo permettono l’acquisizione di informazioni di dettaglio a completamento del quadro conoscitivo regionale.
    Per lo svolgimento delle attività previste ai punti a e b (ricerca, organizzazione di una banca dati ed elaborazione dei dati esistenti) saranno necessari circa 8 mesi.
    Per contenere le risorse (costi e tempi) necessarie per la verifica del potenziale geotermico si ritiene opportuno focalizzare le ricerche in aree test significative e rappresentative dei principali ambiti del territorio regionale (pianura, margine appenninico-padano, catena appenninica) (punto c).
    La stima dei costi e dei tempi per le verifiche nelle aree test (punti c.1-c.4) sarà possibile solo successivamente alla realizzazione delle ricerche previste nei punti a e b.
    La progettazione, e quindi anche la realizzazione, di eventuali sondaggi esplorativi e quindi la modellazione quali/quantitativa del potenziale serbatoio (punti c.5 e c.6) è necessariamente conseguenza dei risultati delle attività previste nei punti c.1-c.4.
    La realizzazione delle attività previste prevede il coinvolgimento di un geologo strutturale esperto di geologia dell’Appennino settentrionale, di uno stratigrafo esperto di geologia del sottosuolo padano, di un geochimico e di un informatico per l’organizzazione di una banca dati, per l’elaborazione dei dati e la restituzione cartografica tramite GIS.
    Per le attività previste ai punti a e c.1 saranno necessari accordi ed eventuali formalizzazioni di rapporti con altri enti (Istituti di ricerca del CNR, Dipartimenti universitari, ENEL, ENI - Agip, altre società per ricerca di risorse energetiche, ...).

Bibliografia

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ultima modifica 2019-07-12T14:37:25+01:00
Hanno contribuito: Luca Martelli
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