Parchi, foreste e Natura 2000

Geomorfologia

Parco regionale Stirone e Piacenziano

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I fossili

Argobuccinum giganteumCon il termine fossile si indicano le testimonianze di vita del passato (dal latino fossus, participio passato di fodere, scavare). Fossili sono i resti di vegetali come legni, foglie e pollini, le ossa e i denti di vertebrati terrestri e marini, i gusci di molluschi e brachiopodi, i calchi e i modelli interni di gusci, le impronte lasciate nei sedimenti dagli organismi nel corso delle loro attività vitali, come le tracce di passaggio e le piste di nutrizione. La fossilizzazione é un processo complesso, che ha scarsissime probabilità di accadere e si verifica soprattutto in ambienti quali mari, lagune, laghi dove i resti di organismi morti, o le loro tracce di vita, possano essere velocemente inumati nei sedimenti, in modo da sfuggire alla totale distruzione. Fossilizzando, i resti degli organismi si possono preservare nelle rocce per milioni di anni, subendo anche profonde trasformazioni, soprattutto chimico-mineralogiche, ma mantenendo intatto il significato della loro origine e l'architettura della loro forma. Lungo lo Stirone, ad esempio, i fossili piú abbondanti sono i resti di organismi, come molluschi e brachiopodi, dotati di gusci, parti dure la cui fossilizzazione é relativamente facile. Nella storia del nostro pianeta i fossili restituiscono informazioni fondamentali circa gli eventi biologici (comparse ed estinzioni) che hanno scandito l'evoluzione degli esseri viventi e di cui costituiscono la prova piú tangibile. 

A tal proposito si consiglia di visitare Il Museo Geologico Provinciale di Castell'Arquato che comprende una significativa rassegna dei fossili più caratteristici delle diverse ere. Ricchissima è la sezione dedicata ai reperti provenienti dalle vicine colline. Gran parte dei molluschi del Pliocene piacentino appartiene alla storica collezione di Odoardo Bagatti e di estremo interesse è la sezione dedicata ai cetacei, tra cui spiccano la balenottera di Monte Falcone e il cranio di Rio Carbonari.
Le molteplici attività del museo, che cura il recupero e il restauro dei fossili dell'interno dell'area protetta prevedono una scuola estiva di paleontologia e anche ricerche internazionali.
Una grande sala è dedicata alla didattica: oltre che di strumenti tradizionali, è dotata di supporti informatici che permettono a studenti e appassionati di classificare le oltre 800 specie del Piacenziano.

Dal Miocene al Quaternario: i fossili lungo lo Stirone

foto: nei pressi di Laurano i sedimenti presentano un caratteristico colore rossastro, indice di depositi di natura eolica - Archivio ParcoAll'altezza di Scipione Ponte, lungo le scarpate che bordano un'ampia curva del torrente, ha inizio la serie fossilifera dello Stirone. Gli strati sono inclinati verso nord-est, con direzioni trasversali all'asse del torrente: camminando lungo il greto nel senso della corrente si passa dagli strati piú antichi, i piú bassi dal punto di vista stratigrafico, a quelli piú recenti. I primi affioramenti fossiliferi sono costituiti da un livello di arenarie organogene, a cui seguono livelli di arenarie fini e argille grigie, che si sedimentarono in ambienti marini nel corso del Miocene superiore (Tortoniano, intorno ai 10 milioni di anni fa); tra numerosi fossili mal conservati è caratteristica Terebratula sinuosa, un brachiopode il cui guscio, dalla tipica forma a lanterna romana, presenta un pronunciato umbone forato. In queste rocce sono stati rinvenuti anche i resti di uno scheletro di balenottera, conservati nel museo di Salsomaggiore. Piú a valle, dopo il ponte sullo Stirone della Strada Salsediana, ha inizio un affioramento di argille grigie plioceniche, depositate in ambienti marini abbastanza profondi, che continua sino a S. Nicomede. Negli strati del Pliocene inferiore (Zancleano) le specie bentoniche fossili, cioè quelle che vivevano sui fondali, sono indicatrici di profondità comprese tra 150 e 300 m. Caratteristici sono i gasteropodi Murex spinicosta e Ficus ficoides;quest'ultimo, che deve il nome alla conchiglia globosa che nella forma ricorda il frutto del fico, è un buon fossile guida di questo piano geologico. Il passaggio al Pliocene superiore (Piacenziano) è segnato, circa un chilometro piú a valle, dall'aumento di resti di bivalvi, tra i quali sono abbondantissimiPecten jacobaeus e Clamys opercularis: questa associazione faunistica, essendo i bivalvi erbivori e quindi legati a fondali bassi ricchi di alghe, documenta una diminuzione della profondità; tra i gasteropodi è abbondante Turritella tricarinata e caratteristico Argobuccinum giganteum. Poco a valle di S. Nicomede, dove ha inizio il Museo all'aperto, alle argille grigie del Pliocene superiore (qui ricchissime in fossili) succedono strati bruno-aranciati di calcareniti organogene che segnano un'ulteriore diminuzione della profondità dei fondali. Sopra il livello calcarenitico, il cui spessore è di circa 25 m, è situato, in un punto non ancora individuato con precisione dagli studiosi, il passaggio tra i sedimenti del Pliocene, l'ultima Epoca dell'Era Terziaria, e quelli del Pleistocene, la prima Epoca dell'Era Quaternaria. La datazione di questo importante limite è ancora oggetto di dibattito scientifico: anche lungo lo Stirone, per quanto i sedimenti relativi siano corredati da una ricchissima documentazione di macro e microfossili, il limite non è ancora stato chiaramente localizzato. Il passaggio tra le due Ere geologiche fu caratterizzato da un generale raffreddamento climatico che, nel Mediterraneo, portó alla scomparsa di specie legate ai climi caldi e all'arrivo dei cosiddetti "ospiti freddi", migrati dai mari situati a latitudini piú settentrionali. Tra questi, il piú facile da riconoscere è Arctica islandica, un grosso bivalve dallo spesso guscio grigio, che giunse nel Mediterraneo dalle zone dell'Atlantico settentrionale dove ancora oggi vive. La successione quaternaria continua verso valle con strati argillosi a cui seguono livelli sabbiosi e argillosi che documentano l'avvicendarsi, nell'area compresa tra i rilievi appenninici e il mare che occupava l'attuale Pianura Padana, di ambienti marini costieri e lagunari salmastri, di dune litoranee e di ambienti lacustri: un'evoluzione legata al progressivo ritiro del mare, causato anche dagli ultimi sollevamenti orogenetici che, in epoche recentissime, hanno interessato il margine appenninico padano. Tra i fossili marini quaternari è molto particolare Xenophora crispa, che possiede una conchiglia decorata con numerosi oggetti estranei (gusci di altri molluschi, sassolini, frammenti rocciosi) che l'animale inglobava durante la crescita per rafforzare il guscio.Xenophora crispa e la frequentissima Venus multilammella sono specie tipiche di fondali fangosi profondi (80-100 m); nei sedimenti quaternari si presentano tuttavia abbondanti e ben conservate insieme a faune di mare basso, forse a testimonianza di una loro "migrazione" dai fondali piú profondi verso le spiagge, in seguito al raffreddamento del clima. Negli strati lagunari, che si incontrano tra Millepioppi e Laurano, si ritrova Theodoxus isseli, tipico di ambienti salmastri, il cui piccolo guscio conserva ancora l'originaria pigmentazione. I depositi quaternari sono inoltre caratterizzati da importanti resti vegetali carbonificati: frutti (pigne, noci), semi, tronchi e pollini fossili hanno fornito una documentazione paleoclimatica in base alla quale alcuni paleobotanici tedeschi ritengono che nello Stirone il limite tra Pliocene e Quaternario sia da collocare molto al di sopra di quello stabilito mediante le associazioni di micro e macrofossili. Nelle argille quaternarie lacustri di colore verdastro che affiorano da Laurano sino a Fidenza, infine, sono stati scoperti resti di rinoceronte (Dicerorhinus hemitoechus), oggi conservati presso l'Istituto di Geologia dell'Università di Parma.

La lunga storia geologica delle colline piacentine

Nelle colline piacentine le rocce più antiche affiorano poco più a sud delle stazioni della riserva; si tratta in gran parte di argille, e in misura minore di calcari e arenarie, intensamente deformate per aver partecipato alle lunghe vicende che hanno portato alla formazione della catena appenninica. Queste rocce sono dette Liguridi perché la loro sedimentazione avvenne sui fondali di un antico oceano (l'Oceano Ligure) che nel lontano Mesozoico, tra Giurassico e Cretacico, si estendeva in zone che corrispondono all'odierna Liguria. Dopo la chiusura dell'oceano la sedimentazione proseguì per molti milioni di anni nelle aree appenniniche, ricoprendo le rocce più antiche che formavano il nucleo dell'edificio montuoso in via di sollevamento. Gli affioramenti dell'area protetta raccontano una parte molto recente di questa storia, quella accaduta durante il Pliocene (tra 5,3 e 1,8 milioni di anni fa). Una grandiosa trasgressione marina, ossia l'invasione del mare su terre precedentemente emerse, siglò l'inizio di quest'epoca, a seguito della quale un profondo golfo marino si stabilì nell'area dell'odierna pianura padana, e la sua la linea di costa disegnava ai piedi dell'Appennino numerose insenature. All'inizio del Pliocene il clima piuttosto caldo favorì la vita di specie marine di ambiente subtropicale, tra cui numerosi molluschi tipici di ambienti più caldi dell'attuale Mediterraneo, i cui resti sono rimasti tra le rocce come preziosa testimonianza fossile.

Approfondimenti

Pietra Nera
Nell'ampia valle dello Stirone, ai margini meridionali del parco, spicca lo spoglio sperone roccioso di Pietra Nera, un'ofiolite che costituisce la testimonianza delle piú remote vicende geologiche dell'Appennino. Il nome dato dai geologi a queste rocce deriva dal greco ofios, serpente, e si deve al loro aspetto variegato e alla colorazione verde-nera, che ricordano la livrea dei serpenti. Secondo le ricostruzioni basate sulla Teoria della Tettonica a Zolle, le rocce ignee e metamorfiche che costituiscono le ofioliti appenniniche rappresentano resti di materiali rocciosi che nel Giurassico formavano i fondali dell'antico Oceano Ligure, dalla cui chiusura è sorto l'Appennino. Le rocce eterogenee, in prevalenza argillose, che circondano la Pietra Nera, in affioramento anche nelle erosioni calanchive lungo il versante sinistro dello Stirone tra Trabucchi e S. Genesio, sono invece sedimenti di mare profondo che si depositarono sui fondali di questo oceano (per questo sono chiamate Liguridi). Nel corso dell'orogenesi appenninica questi materiali, tra i quali è inglobata l'ofiolite di Pietra Nera, hanno subito traslazioni per oltre cento chilometri rispetto alle zone di origine, subendo notevoli deformazioni.

Il colle di Vigoleno
In prossimità dello spartiacque tra le valli dello Stirone e dell'Ongina si alza, ripido e boscato, il rilievo su cui sorge Vigoleno, che domina il parco segnandone il confine sudoccidentale. Le rocce che vi affiorano, di colore beige e nocciola chiaro, sono arenarie e calcareniti che si sedimentarono, nel corso del Miocene medio, in piccoli bacini marini collocati sopra le argille liguridi, la cui profondità non superava qualche decina di metri. Queste rocce, anch'esse a tratti riccamente fossilifere (in particolare verso la valle dell'Ongina), dopo la sedimentazione hanno subito, nel corso delle piú recenti fasi orogenetiche, un significativo trasporto tettonico, che ne ha determinato lo smembramento in piú lembi. Il colle di Vigoleno, costituito da rocce con un'abbondante frazione calcarea che ha favorito lo sviluppo di fenomeni carsici, custodisce alcune piccole cavità con sale, cunicoli e interessanti concrezionamenti.

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ultima modifica 2013-11-13T17:06:00+01:00
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