I terremoti sono di gran lunga gli eventi naturali che mietono più vittime al mondo. Di questi fenomeni si conosce l'origine, tuttavia sono ancora imprevedibili. Gli strumenti oggi a disposizione permettono però di conoscere la sismicità di un'area e di valutare il grado di rischio sismico.
I terremoti sono fenomeni naturali e ricorrenti, legati allo stato dinamico ed ai processi evolutivi del nostro pianeta. Ma cosa sono i terremoti?
I terremoti (dal latino terrae motu, ossia movimento della terra) sono vibrazioni del suolo prodotte dal brusco rilascio di energia meccanica. Questa energia viene accumulata nel tempo nelle profondità del nostro pianeta.
Le rocce della crosta terrestre sottoposte ad uno sforzo in un primo tempo accumulano energia in modo elastico. Aumentando lo sforzo applicato la roccia continua a deformarsi proporzionalmente all'energia accumulata fino a raggiungere il limite di rottura che dipende dalla natura e dalle condizioni fisiche di temperatura, pressione, presenza o meno di fluidi, etc. in cui si trova la roccia. A quel punto la massa rocciosa si rompe creando una frattura nella crosta terrestre (faglia) in corrispondenza della quale si verifica un movimento relativo dei due blocchi di roccia e si ha la liberazione di energia.
Una parte di energia si dissipa sotto forma di calore prodotto dall'attrito lungo la superficie della faglia all'interno degli ammassi rocciosi, mentre un'altra si trasmette come onde sismiche che dall'ipocentro si propagano in tutte le direzioni. La proiezione dell'ipocentro sulla superficie terrestre è detta epicentro. Le onde sismiche emesse dall'ipocentro si propagano in tutte le direzioni attraverso la Terra (fig. 1).
Fig. 1 - Ipocentro, epicentro.
Le onde sismiche che partono dall'ipocentro sono di due tipi:
Le Onde P, dette primarie perché sono le più veloci (4-8 km/s), sono dette anche longitudinali o di compressione perché fanno oscillare le particelle di roccia che attraversano parallelamente alla loro direzione di propagazione, facendo comprimere e dilatare l'ammasso roccioso. Esse si propagano come le onde sonore nell'aria. Questo tipo di onde si propaga sia nei mezzi solidi che nei liquidi.
Le Onde S, dette secondarie perché viaggiano più lentamente delle P (2,3-4,6 km/s), sono dette anche trasversali o di taglio poiché l'oscillazione delle particelle di roccia che attraversano avviene trasversalmente rispetto alla loro direzione di propagazione, non provocando variazioni di volume al loro passaggio. Questo tipo di onde si propaga attraverso i mezzi solidi ma viene assorbito dai liquidi (fig. 2).
Fig. 2 - Onde P e onde S.
L'assenza di rilevazione di onde S permette quindi di individuare la presenza di corpi fluidi nel sottosuolo ed è grazie a questa scoperta che gli scienziati hanno potuto individuare gli strati fluidi che compongono l'interno del nostro pianeta (capitolo 1. L'interno della Terra).
Quando le Onde P e le Onde S (dette anche onde di volume) raggiungono la superficie terrestre si producono altre onde sismiche, che cominciano a propagarsi in modo concentrico sulla superficie terrestre e che per questo vengono chiamate onde superficiali. Vi sono due tipi di onde superficiali: le onde di Rayleigh sono più lente delle onde P ed S ed assomigliano a quelle che si propagano quando un sasso viene lanciato in uno stagno. Esse fanno vibrare il terreno secondo orbite ellittiche e retrograde rispetto alla direzione di propagazione dell'onda. Le onde di Love fanno vibrare il terreno sul piano orizzontale (fig. 3).
Fig. 3 - Onde superficiali.
Il movimento delle particelle attraversate da queste onde è trasversale e orizzontale rispetto alla direzione di propagazione delle onde. Le onde superficiali sono più lunghe di quelle di volume e si muovono più lentamente (2,7 -3 km/s) ma possono percorrere lunghissime distanze prima di estinguersi (le onde vengono progressivamente assorbite dai materiali che attraversano). Le onde più distruttive sono le onde S, in quanto fanno oscillare gli edifici. Tuttavia, la distruttività di un terremoto dipende da più fattori, in specifico dall'energia liberata e dalla profondità dell'ipocentro. Entrambi questi parametri possono essere misurati in modo indiretto attraverso i sismogrammi [approfondimento 22] che riproducono in scala le oscillazioni subite dal suolo.
L'energia si accumula nelle rocce che sono maggiormente sottoposte a sforzi. Le condizioni di massimo sforzo si hanno in zone dove le forze tettoniche agiscono di più: lungo i margini delle placche. Secondo la teoria della tettonica delle placche (capitolo 2. La tettonica delle placche) la parte più esterna della Terra, la litosfera, è suddivisa in placche che si muovono le une rispetto alle altre. Esse sono state individuate proprio grazie all'analisi della distribuzione spaziale dei terremoti che risultano allineati secondo fasce ben definite geograficamente (fig. 4). Infatti la maggior parte dell'attività sismica e vulcanica è concentrata ai confini delle placche dove troviamo regimi tettonici differenti.
Fig. 4 - Distribuzione mondiale dei terremoti.
Diversi tipi di margini danno come risultato diversi tipi di sismicità. Lungo le dorsali oceaniche, per esempio, nelle quali avviene la risalita del magma e la produzione di nuova crosta oceanica, la sismicità è di modesta entità con ipocentri compresi entro i primi 10-15 km di spessore della crosta.
Invece lungo le fosse oceaniche, per esempio come nell'anello circumpacifico detto "cintura di fuoco", la sismicità è associata alla subduzione di una placca sotto l'altra e gli ipocentri possono raggiungere profondità anche di 700 km. In questo caso i terremoti sono forti, legati principalmente alle faglie nel margine della placca sovrastante provocate dal violento attrito con la placca in subduzione. Nei margini di collisione tra due placche continentali, che hanno dato luogo alle catene orogenetiche recenti come quella Alpina e Himalayana, le spinte tettoniche, se non ancora esaurite, continuano a dar luogo ad accumulo di energia lungo le numerose faglie e quindi allo scatenarsi di terremoti di forza variabile, da piccola a grande, a seconda del contesto.
Quando si verifica un terremoto l'attenzione dell'uomo è immediatamente rivolta all'"effetto distruttivo" di questo sul territorio in cui vive (fig. 5). L'effetto distruttivo di un terremoto può essere misurato. Il primo dato che viene comunicato solitamente dai mass media alla popolazione è quello relativo alla grandezza di un terremoto, espressa come magnitudo (entità) o come intensità. Questi due parametri, che spesso vengono confusi o utilizzati in modo improprio, descrivono due grandezze del tutto diverse e non direttamente confrontabili; è importante capirne il perché.
Fig. 5 - Distruzione da terremoto.
La magnitudo è una misura dell'energia sprigionata da un terremoto nel punto in cui esso si è originato (ipocentro), cioè l' ampiezza della vibrazione del suolo. La magnitudo, introdotta nel 1935 dal sismologo C. F. Richter (da cui il nome alla relativa scala), è una grandezza che mette a confronto l'ampiezza massima (A) delle onde di un terremoto con l'ampiezza massima (Ao) delle onde di un terremoto standard (il cui sismogramma posto a 100 km di distanza ha misurato un'oscillazione massima di 0,001 mm).
La formula è la seguente: M=log10A/Ao.
La scala Richter non ha dei limiti teorici in quanto può ammettere valori sia infinitamente piccoli che infinitamente grandi, ma nell'ultimo secolo i valori registrati a scala mondiale sono compresi tra 0 e 9. La scala è logaritmica per evitare numeri troppo grandi: un aumento di una unità nella magnitudo corrisponde a un aumento di un fattore 10 nell'ampiezza del movimento del terreno e a una liberazione di energia circa 30 volte maggiore. Ciò significa che quando si viene a conoscenza di un terremoto di magnitudo, per esempio 7, non è un po' più "energetico" di uno di magnitudo 6, ma di 10 volte di più, 100 volte di più di uno magnitudo 5 e 1000 volte più "energetico" di uno di magnitudo 4. La magnitudo però non descrive necessariamente il potere distruttivo di un terremoto poiché un terremoto di magnitudo 8 a grande distanza da una città potrebbe non provocare alcun danno, mentre un terremoto di magnitudo più bassa a ridosso di una zona urbana potrebbe causare gravi danni.
Per misurare l'intensità di un sisma in base agli effetti sulle persone e sulle strutture si usa un'altra misura della "forza" di un terremoto: l'intensità macrosismica (I) (misurata in Europa e in America tramite la scala Mercalli Cancani Sieberg, MCS). L'intensità è una misura degli effetti che il terremoto ha prodotto sulle persone, sugli edifici e sull'ambiente. Per fissare il valore preciso d'intensità è necessario attendere la raccolta dei dati oggettivi sui danni prodotti dal terremoto. Le due scale perciò non sono equivalenti!
LA SCALA MERCALLI - Scala sismica che serve per valutare l'intensità di una scossa sismica su basi empiriche, cioè tenendo conto dei suoi effetti sulle persone e sugli edifici. (Dal Dizionario di scienze della terra, Rizzoli, Milano 1984) | ||
GRADO | DENOMINAZIONE DELLA SCOSSA | EFFETTI |
1° | Strumentale | Avvertita solo dagli strumenti sismici |
2° | Leggerissima | Avvertita solo da qualche persona ipersensibile o in particolari condizioni |
3° | Leggera | Avvertita da poche persone |
4° | Mediocre | Avvertita da molte persone nelle abitazioni; oscillazioni di oggetti sospesi |
5° | Forte | Avvertita da persone ferme o in moto e anche addormentate; caduta di oggetti |
6° | Molto forte | Avvertita da tutti; leggere lesioni in alcuni edifici |
7° | Fortissima | Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici, suono di campane |
8° | Rovinosa | Distruzione parziale di qualche edificio; qualche vittima |
9° | Disastrosa | Distruzione totale di alcuni edifici, gravi lesioni in altri; vittime non numerose |
10° | Distruttrice | Distruzione di molti edifici; molte vittime umane; spaccature nel suolo |
11° | Catastrofica | Distruzione di centri abitati; moltissime vittime; crepacci e frane nel suolo |
12° | Ultracatastrofica | Distruzione di ogni manufatto; pochi superstiti; sconvolgimento del suolo |
Gli scienziati non sono ancora in grado di prevedere i terremoti con la precisione necessaria per preavvisare la popolazione con ore o giorni di anticipo; si può però conoscere la sismicità di un area e comprenderne il grado di rischio studiando l'intensità e la frequenza dei terremoti avvenuti in passato sia su vasta scala (macrozonazione) sia in zone più ristrette (microzonazione [approfondimento 24]). Si possono evitare danni e vittime puntando sulla previsione ma soprattutto sulla prevenzione agendo con i sofisticati sistemi della moderna ingegneria antisismica nella fase di costruzione di edifici e infrastrutture [approfondimento 24].
La nostra penisola è sismica e il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, di magnitudo 7,1 della scala Richter e di grado XI della Mercalli è forse la prova più tragica della sismicità del territorio italiano [approfondimento 23].