Inquadramento

Il primo atto regionale in materia di protezione della costa è stata la Legge Regionale n. 7/1979 “Interventi della Regione Emilia-Romagna per la difesa della costa adriatica ai fini ambientali, turistici e di protezione degli insediamenti civili e produttivi”.
Da questo atto è disceso il primo Piano Costa 1981 (approvato nel 1983) seguito da un secondo progetto di Piano nel 1996, e da relazioni sullo Stato del Litorale all’anno 2000, all’anno 2007 e piano decennale di gestione, all’anno 2012 e all’anno 2018.

Il Piano Costa

Il Piano Costa del 1981 già indicava la difesa “morbida”, come il ripascimento delle spiagge, quale opzione prioritaria per contrastare i fenomeni di erosione e di rischio di ingressione marina, anziché la realizzazione di nuove opere di difesa rigide, che già al tempo avevano mostrato il loro limiti di efficacia e, in diversi casi, effetti controproducenti rispetto alla loro prevista azione di contrasto all’erosione costiera.

È opportuno sottolineare che le competenze in materia di difesa della costa sono state trasferite nel loro complesso dal governo italiano alle Regioni soltanto nel 2001, a valle del Dlgs n. 112/1998, e che le Regioni nei precedenti anni potevano operare sulla difesa delle coste e degli abitati costieri, grazie alle disposizioni del DPR n. 616/1977, solo previa autorizzazione dello Stato che ne conservava quindi le funzioni amministrative.

Sempre nei primi anni ‘80, la Regione Emilia-Romagna ha introdotto il blocco dello scavo di sabbia e ghiaia dai letti dei fiumi (Deliberazione della Giunta Regionale n.1300 del 1982), al fine di migliorare il trasporto solido fluviale utile per il ripascimento naturale dei litorali. In questo percorso si inserisce anche la Deliberazione del Consiglio Regionale n. 72 nell'anno 1983, in cui si regolamenta e limita il prelievo di fluidi sotterranei nelle aree costiere, al fine di ridurre il tasso di subsidenza (abbassamento del terreno) e quindi la vulnerabilità, delle zone costiere e dell’entroterra, all’ingressione marina.

Linee Guida regionali GIZC e Strategia GIDAC

A valle del passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni, nei primi anni del 2000 si sviluppa quel percorso, attraverso gli indirizzi della DGR n. 2749/2001, che porterà alla predisposizione e approvazione, nel 2005, delle Linee Guida regionali per la Gestione Integrata della Zona Costiera - GIZC (DCR n. 645/2005) e quindi alla formalizzazione da parte del Consiglio regionale (oggi Assemblea Legislativa) di quel cambio di paradigma ormai già in corso nella gestione e difesa della costa regionale verso l’opzione morbida, rispetto al precedente approccio statale che operava principalmente attraverso la realizzazione di opere rigide.

La Strategia GIDAC conferma tale scelta, aggiornando e integrando il quadro di riferimento alla luce delle nuove conoscenze, delle nuove disposizioni regionali per la pianificazione territoriale e urbanistica, delle mutate condizioni e previsioni di scenari futuri, fornendo indirizzi e definendo azioni volte a tradurre in pratica l’obiettivo di adattamento e di aumento della resilienza del sistema fisico costiero agli effetti del cambiamento climatico. La GIDAC si collega inoltre in una logica di integrazione terra/mare con il processo di Pianificazione dello Spazio Marittimo (MSP).

La Pianificazione dello Spazio Marittimo

La Pianificazione Spaziale Marittima (MSP) è uno strumento, voluto dall’Europa (La Direttiva Europea 2014/89/UE) per sostenere la “crescita blu”, per stabilire una più razionale organizzazione dello spazio marittimo e delle interazioni fra i suoi usi, è stato avviato a livello nazionale (Comitato Interministeriale) e curato dall’Emilia-Romagna per quanto riguarda gli usi dello spazio di mare territoriale antistante la costa regionale fino alla linea medio adriatica..

Per il Piano MSP il turismo costiero, con le filiere collegate, rappresenta il settore di riferimento attuale e futuro per l’economia costiera e marittima della Regione e indica la necessità di attuare azioni con le finalità di:

  • promuovere uno sviluppo turistico sostenibile creando le condizioni per garantire lo spazio necessario alle dinamiche marine naturali e alla crescita degli altri usi antropici, senza compromette la conservazione delle risorse naturali dalle quali il turismo dipende (acque, natura, paesaggio),
  • favorire la conservazione e la tutela degli ecosistemi costieri e marini, perseguendo l’equilibrio tra il mantenimento e la conservazione degli ambienti naturali e lo sviluppo delle attività antropiche.

Alcuni degli obiettivi specifici del Piano MSP, sono specificamente finalizzati a rafforzare gli obiettivi della GIDAC, in particolare:

  1. Salvaguardare la fruizione turistica delle coste (turismo balneare) attraverso la difesa dagli allagamenti, il contrasto dell’erosione, la manutenzione e il ripristino del sistema spiaggia,
  2. Consentire lo sfruttamento dei giacimenti di sabbie sottomarini, indispensabili per il ripascimento delle spiagge, riducendo i conflitti con gli altri usi; assicurando la gestione oculata di tale risorsa non rinnovabile e riducendo al minimo e l’impatto sull’ambiente.

Il contesto territoriale e le scelte strategiche

Il litorale emiliano-romagnolo è costituito da una costa bassa e sabbiosa, che si estende per circa 130 km tra Cattolica a sud e la Foce del Po di Goro a nord, caratterizzata da estese aree a intensa urbanizzazione, a massima concentrazione nel settore centro meridionale, e da più limitate aree naturali, facenti parte del Parco del delta del Po, nel settore settentrionale.
Nel corso del ‘900 il sistema costiero emiliano-romagnolo ha subito profonde trasformazioni di origine antropica che hanno portato alla scomparsa di gran parte dei caratteri paesaggistico-ambientali originari: le dune sono state in gran parte spianate, diverse zone vallive bonificate e le aree boschive e incolte fortemente ridotte.

I primi fenomeni di erosione si sono manifestati all’inizio del ‘900 in corrispondenza di alcune cuspidi fluviali e nelle spiagge a nord dei moli portuali di Rimini e Porto Garibaldi, in seguito al prolungamento degli stessi. Ma è nel secondo dopoguerra che il degrado ambientale (erosione delle spiagge ed eutrofizzazione delle acque costiere) ha assunto dimensioni eclatanti, fino ad arrivare, negli anni ’70, a mettere a rischio lo sviluppo dell’industria turistico-balneare, nel frattempo diventata leader in Europa.

Ereditata di fatto agli inizi degli anni 2000 dalla Stato una costa interessata, per circa 60 km dei suoi 130, da opere di difesa rigida che si erano mostrate in molti casi inefficaci o addirittura controproducenti nel combattere l’erosione costiera, la Regione decide di dare seguito a quel cambio di modello di gestione e difesa della costa che aveva già sperimentato in alcuni casi negli ultimi due decenni del ‘900.

Dopo un primo periodo in cui gli interventi di difesa con ripascimento artificiale venivano realizzati con sabbie provenienti soprattutto cave, alla fine degli anni ‘90 si afferma l'uso di sedimenti provenienti da accumuli litoranei poi, nei primi anni del 2000, l'utilizzo di depositi sabbiosi sottomarini individuati al largo delle coste regionali già negli anni ’80.

Per i sedimenti litoranei svilupperà in seguito, dal 2010, un sistema informativo gestionale delle Celle litoranee (SICELL) ai fini della sistematizzazione della manutenzione ordinaria degli arenili, mentre per la manutenzione straordinaria (apporto di sedimenti dall’esterno del sistema litoraneo), inizia lo sfruttamento dei giacimenti sabbiosi sottomarini con la realizzazione di grandi di interventi di ripascimento nel 2002, 2007, 2016 e 2022, accompagnato anch’esso da uno specifico sistema informativo (In-Sand) finalizzato ad una loro gestione sostenibile, quale riserva strategica non rinnovabile.

Opzioni di gestione e di intervento

È importante che a monte della decisione di intervenire su un determinato tratto di costa (intervento di difesa e/o trasformazione e adattamento del territorio), si valutino con una visione ampia l’assetto territoriale, le sue criticità e le possibili alterazioni delle dinamiche marino costiere potenzialmente indotte dall’intervento stesso, considerando il rapporto costi/benefici per la collettività nel tempo e quindi la sostenibilità per gli scenari climatici attesi delle scelte che si intendono effettuare. È altresì importante che tali scelte siano guidate anche dalla conoscenza delle condizioni osservate e attese di intensità e frequenza degli eventi meteomarini e della pericolosità e rischio sul territorio (es. mappe del Piano di Gestione del Rischio Alluvioni per l’ambito costiero regionale, APSFR della costa) in relazione a quanto prevedibile anche per scenari futuri di intensità dei fenomeni e di innalzamento del livello marino. 

Per quanto riguarda la difesa costiera, è importante, quindi esaminare le possibili soluzioni di opere e di interventi tenendo presente i concetti di “difesa dall’ingressione marina” e di “contrasto all’erosione costiera” in relazione all’intensità/frequenza osservata/prevista degli eventi meteomarini e della pericolosità e rischio sul territorio  (es. mappe del Piano di Gestione del Rischio Alluvioni per l’ambito costiero regionale, APSFR della costa) e in relazione a quanto prevedibile per scenari futuri di intensità e frequenza degli eventi e per innalzamento del livello marino.

· Le difese a mare, scogliere o barriere in massi distaccate parallele emerse o soffolte e pennelli in massi o in pali di legno, non hanno una vera funzione di difesa dall’ingressione marina, ma tendono piuttosto a limitare l’erosione costiera con maggiore o minore successo, a seconda dei luoghi e delle condizioni locali. Si sono dimostrate generalmente poco efficaci rispetto a quelle che erano le aspettative che accompagnarono la loro costruzione e soprattutto controproducenti per i tratti costieri sottoflutto, verso i quali spostano gli effetti erosivi (dimostrato nel tempo dalle evidenze),  per l’approfondimento dei fondali nel loro fronte verso mare e per il fenomeno del set-up, sovralzo del livello marino durante le mareggiate nello spazio intercluso tra le scogliere e la battigia. Possono catturare sedimenti, a scapito dei tratti sottoflutto, ma non “generano” sedimenti, la cui scarsità (dai corsi d’acqua) è il vero problema della nostra costa. Un’adeguata valutazione costi/benefici di queste opere in passato avrebbe probabilmente spostato l’attenzione su altre tipologie d’intervento meno impattanti e con un maggiore grado di reversibilità.

· Le difese radenti, massicciate aderenti alla linea di costa realizzate generalmente in massi, come ad esempio quella a nord della foce Fiumi Uniti o a nord del Lido delle Nazioni, ma a volte realizzate anche con altro materiale. Questo tipo di opera può essere considerata quale “prima linea di difesa dall’ingressione marina” a patto che l’altezza, quota e ampiezza della berma, sia adeguata, con opportuno franco in elevazione, ai fenomeni marini più severi prevedibili e che tale quota sia omogenea per tutta la lunghezza dell’opera. Dal suo profilo verso mare dipende l’approfondimento dei fondali alla sua base, più è ripido il suo lato verso mare maggiore sarà il fenomeno di approfondimento operato dal frangersi dell’onda e dalla conseguente traslazione dei sedimenti verso mare o lungo costa. A volte si riesce a mantenere una spiaggia emersa al suo piede, molto più spesso sono prive di spieggia emersa antistante.

· Gli argini interni paralleli alla costa, come ad esempio l’argine Acciaioli nel ferrarese, hanno funzione di difesa del territorio retrostante il sistema litoraneo dall’ingressione marina quando gli eventi più severi superano la spiaggia, o il sistema spiaggia-duna, o le difese radenti, ove presenti, a patto che la loro quota sia continua e la loro struttura non presenti discontinuità o varchi. Questo tipo di opera rappresenta la “seconda linea di difesa dall’ingressione marina” per il territorio ferrarese che ha quota anche di anche alcuni metri inferiori al livello del mare.  Un caso particolare di difesa interna è rappresentato dalla struttura continua tipo “difesa radente” di oltre 10 km all’interno della Sacca di Goro che protegge l’ampio territorio comunale posto ad una quota inferiore al livello del mare, opera non soggetta in questo caso a particolari fenomeni di ondazione perché interna alla laguna.

· Il ripascimento delle spiagge, con sedimenti interni ed esterni al sistema litoraneo, mira al ripristino del bilancio sedimentario in particolare dei tratti in erosione e più in generale, quando si utilizzano sedimenti esterni, anche ad alimentare un bilancio costiero nel suo complesso, deficitario a causa dello scarso apporto di sabbia da parte dei corsi d’acqua.
Le fonti litoranee sono rappresentate dagli accumuli di sedimenti in prossimità di strutture aggettanti (principalmente i moli portuali), opere di difesa o di zone di convergenza delle dinamiche marine.
Le fonti esterne sono rappresentate principalmente dai giacimenti sottomarini medio-adriatici, secondariamente dalle cave (utilizzo oggi molto ridotto rispetto al passato) e dagli scavi per opere edili e infrastrutturali, pratica in uso per ora solo in alcuni comuni costieri ma che ha buone potenzialità di sviluppo.

Soluzioni morbide e rigide a confronto

In mancanza di una naturale alimentazione sedimentaria dai corsi d’acqua, un litorale alimentato artificialmente in modo adeguato con i ripascimenti è in grado di svolgere funzione di smorzamento del moto ondoso e di difesa del territorio dall’ingressione marina, oltre che mantenere la sua funzione di fruizione turistica balneare. Le difese radenti sono in grado di proteggere dall’ingressione marina ma non garantiscono la presenza di una spiaggia. Le difese a mare sono in grado di smorzare il moto ondoso ma non garantiscono la protezione dall’ingressione anche per il fenomeno di set-up del livello marino durante le mareggiate intense. Inoltre,  anche i tratti di spiaggia protetti da queste opere spesso necessitano di ripascimento oppure sono soggetti ad accumuli di materiali fini nella parte sommersa, con conseguente perdita di qualità sia delle acque che dei fondali di balneazione. In generale, nessuna opera è in grado di “portare” sedimenti, ma eventualmente solo di “catturarli” a scapito delle spiagge sottoflutto, che risulteranno ancor più sottoalimentate.

Per continuità e funzioni, il sistema spiaggia-duna (duna naturale o ricostruita che sia) è considerabile a tutti gli effetti come “prima struttura di difesa dall’ingressione marina” ed è evidente quanto sia importante mantenere o conferire quote e ampiezze adeguate, di questo elemento morfologico pressoché continuo del nostro litorale, rispetto ai livelli degli eventi meteomarini più severi.  I riferimenti attuali sono le quote dei tiranti d’acqua e di altezza d’onda associati ai fenomeni meteomarini di diversa entità tracciati nelle mappe di pericolosità e di rischio del PGRA II° Ciclo  per l’APSFR della Costa (in aggiornamento entro il 2025 per il III° Ciclo di pianificazione), da integrare anche in prospettiva di scenari climatici futuri e di tendenza all’innalzamento del livello marino.

Il sistema di opere di difesa rigide ereditato dallo Stato che ha modificato sostanzialmente il nostro litorale, così come lo spianamento delle dune costiere avvenuto nel secolo scorso, rappresenta comunque un elemento da cui non si può più prescindere e che va manutenuto e rimodulato per ridurne gli effetti negativi laddove questi risultino più evidenti. Questo perché le modificazioni determinate sul profilo della spiaggia sommersa e i volumi di sedimenti necessari a ripianarle non renderebbero sostenibile una loro generale eliminazione, di gran lunga superiori ai volumi di sedimenti portati per gestire quelle spiagge soggette ad erosione nonostante siano protette dalle stesse opere di difesa.

La Strategia GIDAC quindi, oltre dare indicazioni per la manutenzione e rimodulazione delle opere di difesa, per il sistema spiaggia fornisce indirizzi per il ripristino del bilancio sedimentario, il contrastato all’erosione, la riduzione delle perdite di sedimenti e di quota, attraverso una serie di azioni quali:

  • l’ampliamento e ricostituzione di un profilo elevato delle spiagge, anche con il ripristino del cordone dunoso che le caratterizzava in passato,
  • la buona gestione degli arenili e riduzione delle perdite dei sedimenti dal sistema spiaggia,
  • l’ulteriore riduzione della componente antropica della subsidenza in ambito litoraneo,
  • l’alimentazione delle spiagge con sedimenti provenienti da ogni fonte idonea possibile.

Si tratta di un sistema articolato di azioni di gestione, difesa e adattamento, fondato sulla conoscenza delle dinamiche costiere e di previsione di scenari climatici futuri, sulla caratterizzazione e utilizzo delle fonti di sedimenti idonei disponibili, su azioni di medio-lungo termine volte al ripristino delle quote di spiaggia e dei cordoni dunosi o realizzazione di dune artificiali, che deve andare di pari passo all’adattamento della fascia costiera e all’arretramento delle strutture antropiche più esposte, attraverso la pianificazione urbanistica e territoriale.  

Si tratta di una scelta strategica nella direzione di un’inversione della tendenza all’irrigidimento della costa, operando prioritariamente attraverso “soluzioni morbide” e la creazione di spazi adeguati al libero esplicarsi delle dinamiche marine, in modo da ridurre quanto più possibile gli impatti di eventi meteomarini anche più intensi sul sistema litoraneo e i danni sulle attività, strutture e infrastrutture antropiche.

Tale scelta e le azioni conseguenti vanno a declinarsi ovviamente in funzione delle condizioni locali, delle criticità e dell’assetto dei diversi tratti di costa, in ragione delle migliori opzioni possibili di intervento e gestione, in una logica di miglior rapporto costo/beneficio nel tempo e di un loro possibile adeguamento o reversibilità in funzione del mutare delle condizioni al contorno.