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Storia

Parco regionale Abbazia di Monteveglio

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Preistoria e protostoria

Il territorio tra Samoggia e Panaro è tra i più ricchi dell'archeologia regionale, soprattutto per l'abbondanza di siti individuati nel secolo scorso dall'insigne archeologo savignanese Arsenio Crespellani. Su questi rilievi l'uomo comparve nel Paleolitico inferiore, lasciando le prime tracce tra Monteveglio, Savignano e Bazzano (nei poderi La Motta e Bellaria). Testimonianze dell'Eneolitico provengono ancora da Bellaria e da un antico ritrovamento nei pressi di Monte Morello. Per l'Età del Bronzo, oltre all'insediamento terramaricolo di S. Anastasio su un terrazzo del Panaro a Savignano, è stato individuato un villaggio a Bazzano, sull'altura oggi dominata dalla Rocca, con tracce di fauna domestica, una zappetta in corno di cervo e una macina in arenaria. A partire dal secolo VIII a.C., durante la prima Età del Ferro, nota nel Bolognese come Cultura Villanoviana, gruppi di coloni provenienti da Bologna, che aveva ormai i caratteri di un agglomerato protourbano, occuparono varie località tra Samoggia e Panaro. Delle necropoli del periodo una è stata rinvenuta alla Fornace Minelli di Bazzano e ben quattro piccoli nuclei sono emersi a Monteveglio (poderi S. Giovanni, Scarsella, Termine Grosso, Vandino). Tutta l'area assunse una certa importanza commerciale stimolata dallo sviluppo della viabilità villanoviana, in particolare di una direttrice pedemontana che collegava Bologna ai settori occidentali della regione. Molto probabilmente in questo stesso periodo gli antichi abitatori trasformarono per la prima volta l'uva in vino. Per il periodo etrusco i rinvenimenti più significativi sono avvenuti proprio a Monteveglio, dove furono scoperte una ricca necropoli nel podere Casa Nuova a S. Antonio di Monte Morello e una tomba in località Traversa, alla confluenza tra Ghiaia e Samoggia (con un magnifico esemplare di cista a cordoni in bronzo che è esposto nel Museo Archeologico di Bologna). I ritrovamenti convinsero Crespellani a supporre la presenza di un abitato etrusco sul colle di Monteveglio o su quello contiguo di Monte Morello. Questo abitato di altura, naturalmente fortificato, doveva svolgere funzioni di sorveglianza agli accessi delle valli e, insieme ad altri, di freno alle invasioni dei Celti, che dal secolo IV cominciarono a dilagare. Del periodo celtico mancano informazioni, ma uno dei luoghi dove i Galli vennero battuti dai Romani fu presso l'antica Acquaria, che alcuni situano nel distretto di Monteveglio. E' questa la più convincente tra le ipotesi sull'origine dell'antico toponimo Mons belli (monte della guerra), citato in numerosi documenti a partire dal 772. Il nome per alcuni deriverebbe da Mons Bellius o Mons Pellius, da quello di famiglie romane; per altri da Mons bellus, con il significato di grazioso; certamente errata è ormai ritenuta la vecchia interpretazione di "monte della veglia" (cioè della guardia).

Romani, Bizantini e Longobardi

Nella fertile fascia tra la pianura e la prima collina, sui terrazzi fluviali di Samoggia e Panaro, l'insediamento romano dovette ben presto fare seguito alla realizzazione della Via Emilia (187 a. C.) e alla fondazione delle colonie di Modena e Bologna, anche se i reperti suggeriscono un intenso popolamento sparso piuttosto che la presenza di un vero e proprio agglomerato. Sulla base di questi ritrovamenti Crespellani ipotizzò il tracciato di una strada, "l'antica strada Claudia alle pendici dei colli modenesi e bolognesi", detta anche "Predosa", che da Bologna attraverso Zola Predosa e Bazzano, forse seguendo il percorso villanoviano, intercettava una direttrice per la Toscana tra Samoggia e Panaro. Tutta la zona, divisa dal confine tra i municipi di Modena e Bologna che correva lungo il Samoggia, venne sicuramente interessata dall'espansione dell'agro centuriato molto al di sotto della via Emilia. Nell'odierna viabilità se ne riscontrano ancora i resti, in particolare un tratto residuo di cardo massimo che, con il toponimo medievale di via Cassola, giunge fin sotto al colle di Monteveglio. Si suppone che nel periodo romano e nel primo medioevo a Monteveglio sorgesse il capoluogo di un importante "pago" esteso tra Panaro e Samoggia e forse anche sulla riva destra di quest'ultimo verso Oliveto. Gli scarsi reperti di epoca romana, restituiti soprattutto dal torrente, suggeriscono l'esistenza di diverse villae lungo la vallata: una statuetta in bronzo di Diana cacciatrice (conservata a Bologna), una testa in marmo di dea (oggi a Bazzano), tombe romane e frammenti di anfore vinarie. Anche nell'antico borgo sono presenti reperti romani: fregi marmorei tra le pietre della facciata di un edificio, frammenti di colonne di fianco a una porta, una lapide come mensa d'altare nella cripta della chiesa di S. Maria. Durante il periodo bizantino Monteveglio fu dal secolo VI una fortezza dell'Esarcato di Ravenna e insieme a Ferroniano, Persiceto, Verabolo e Buxo (il podere Bucco vicino a Bazzano) fece parte della linea difensiva lungo il confine con la Longobardia. Le prime notizie precise risalgono a Paolo Diacono e Anastasio Bibliotecario, vissuti nel secolo IX, che descrivono la Monteveglio bizantina come una città estesa e florida. Ma già con l'invasione dei Longobardi di Liutprando, che la conquistarono nel 728, iniziò la decadenza: da città divenne un semplice castello che mantenne comunque, anche dopo l'avvento dei Franchi, un importante ruolo militare e amministrativo.

Una terra di frontiera e di grandi battaglie

foto: torre del Castello di Monteveglio (oggi sede del centro visita del parco) - Archivio ParcoQuando Carlo Magno, occupati i territori longobardi, pose i confini del suo regno intorno a Bazzano, la valle del Samoggia venne a trovarsi nuovamente in una zona di frontiera. Tra i secoli IX e X, anche in seguito alle invasioni ungare, nella valle vennero eretti nuovi castelli, in parte sulle rovine di quelli bizantini (Monteveglio, Bazzano, Oliveto, Serravalle, Zappolino, Savignano). A metà del secolo X buona parte della vallata, dove aveva estesi possedimenti l'Abbazia di Nonantola, divenne feudo dei Canossa: dei beni della contessa Matilde fecero parte Bazzano, Monteveglio e le fortificazioni di Monte Morello e Monte Alfredo (oggi Monte Freddo). Il cuore del parco fu teatro di un celebre episodio della lotta per le investiture tra papato e impero, culminato nel 1092 con l'assedio del castello di Monteveglio, che resistette vittoriosamente e, con una felice sortita dal vicino colle della Cucherla, inflisse una dura sconfitta all'esercito di Enrico IV (che vi perdette il figlio). Dopo la vittoria Matilde consolidò e accrebbe con beni il castello e la pieve, concedendo ai sudditi particolari privilegi. Dopo la sua morte si manifestarono i primi segni della ripresa cittadina e Monteveglio divenne libero comune, alleandosi alternativamente con Modena e con Bologna nelle interminabili lotte tra le due città. La battaglia più celebre si svolse nel 1325 presso il castello di Zappolino, nei prati di Saletto e Parviano, e i Modenesi, con un forte esercito ghibellino, compirono una vera strage tra i Bolognesi (fu la battaglia che ispirò a Tassoni "La secchia rapita"). Questo destino guerriero si protrasse per secoli, in un succedersi di scontri e battaglie, culminando nel celebre tentativo di conquista di Monteveglio da parte dei Lanzichenecchi, al seguito delle milizie imperiali di Carlo V, che nel 1527 posero l'assedio al castello; la leggenda narra che un'improvvisa e imponente nevicata li costrinse a desistere (in ricordo ogni anno si tiene una processione votiva).

Verso una nuova organizzazione del territorio

Nel '500, divenute ormai inutili le fortificazioni per l'avvento delle artiglierie, molti dei castelli che coronavano la valle del Samoggia andarono in rovina: oggi rimangono i notevoli esempi di Bazzano, Monteveglio e Castello di Serravalle. Nei secoli XV e XVI, di relativa stabilità politica e pace, i casali fortificati e le torri al centro di vasti poderi divennero il fulcro di una fiorente organizzazione agricola.
I Bentivoglio, nuovi signori di Bologna, inviarono nei castelli del Samoggia capitani di loro fiducia e costituirono a Bazzano il vicariato, che nel '500 venne sostituito dal Capitanato della Montagna, esteso nel 1699 a molti altri comuni delle valli del Lavino e del Samoggia. L'organizzazione ecclesiastica aveva intanto già disseminato il territorio samoggino di pievi, sorte insieme ai castelli, e al contrario di quanto è avvenuto per questi ultimi, una grande quantità di chiese e cappelle costellano ancora la valle, a dimostrazione di quanto fin dal medioevo l'insediamento fosse capillare.
L'organizzazione ecclesiastica influenzò fortemente la formazione dei comuni rurali, spesso con una perfetta identità territoriale tra parrocchie e comunità. La storia successiva di questo territorio, che per secoli aveva avuto un ruolo di primo piano, si fece sempre più marginale.
Con l'occupazione francese le parrocchie vennero accorpate in circoscrizioni più ampie, vicine agli odierni comuni: Oliveto e Montebudello, che dal medioevo erano stati comuni autonomi, divennero frazioni di Monteveglio. Dopo l'Unità d'Italia dal vecchio borgo l'abitato di Monteveglio si spostò verso valle, presso il Ghiaia, anche se fu un processo lento: ancora alla fine dell'Ottocento dove sorge il centro del moderno paese si trovava un nucleo di pochi edifici intorno al Molino Torchi (edificato all'inizio del '500 dai canonici di Monteveglio e oggi trasformato in ristorante) e solo a partire dal 1936 cominciò a comparire la distinzione tra Monteveglio e Monteveglio alto.
La situazione delle comunicazioni nella zona rimase a lungo piuttosto arretrata: solo con i primi complessi artigianali e industriali degli anni '60 è nata un'ossatura viaria moderna, senza tuttavia cancellare una viabilità secondaria che per lunghi tratti conserva ancora il fascino delle antiche strade collinari.

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ultima modifica 2012-05-28T19:39:00+02:00
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