5. Due Torri
La sosta ai monumenti simbolo della città, le due Torri, ci permette di introdurre tre temi legati alla geologia bolognese: l’uso e la storia dei gessi bolognesi, la struttura del sottosuolo e l’evoluzione del paesaggio. un’intensa evaporazione lo trasformò in una serie di pozze d’acqua molto salata.
La selenite è il nome che localmente viene dato a una roccia costituita in prevalenza da cristalli di gesso. Si tratta di una roccia evaporitica originata dalla precipitazione di un sale, il gesso (solfato biidrato di calcio - CaSO4.2H2O) a seguito dell’evaporazione dell’acqua marina.
La formazione dei gessi bolognesi risale alla “crisi di salinità” del Messiniano (circa 6 milioni di anni fa) quando il mare Mediterraneo rimase isolato dall’Oceano Atlantico e un’intensa evaporazione lo trasformò in una serie di pozze d’acqua molto salata.
Cristallo di gesso geminato "a coda di rondine" Foto: Museo giardino geologico
In queste condizioni i sali marini precipitarono cristallizzando e diedero origine alle rocce evaporitiche e tra queste al gesso.I depositi evaporitici sono presenti in tutta Italia. Nel bolognese i gessi affiorano un pò ovunque e sono connessi alla più estesa Formazione Gessoso-solfifera romagnola, denominata “Vena del Gesso”. Il gesso è un minerale abbastanza solubile e dove affiora il paesaggio è segnato da forme carsiche quali doline, inghiottitoi e grotte; nei pressi di Bologna sono note le grotte del Farneto e della Spipola.
La diffusione della selenite a Bologna dipende sia dalla vicinanza delle aree estrattive (le cave tra Monte Donato e Monte Paderno e quelle un poco più distanti di Gesso, Monte Caprara, Castel de’ Britti e Brisighella) sia dalle sue proprietà. Il gesso infatti, essendo un materiale saturo in acqua, non permette la risalita dell’umidità; per questo motivo è stato utilizzato sin dall’antichità per le fondamenta delle abitazioni in quanto garantiva la salubrità degli ambienti nonostante il clima umido e la fitta rete di canali navigabili che attraversavano la città.
Il suo impiego a Bologna è documentato con certezza sin dai tempi dei Romani (teatro romano in via Carbonesi), fino al Medio Evo. Le antiche mura in selenite, di età tardo-antica, si possono ancora osservare nel cortile della casa Conoscenti in via Manzoni 6, mentre sono centinaia i ritrovamenti di selenite concentrati all’interno della cosiddetta “cerchia del Mille”. L’uso di questa pietra diminuisce a partire dal Rinascimento. La selenite venne riutilizzata solo per interventi di restauro da E. Viollet le Duc, Gozzadini, Faccioli, Rubbiani, Collamarini nei rifacimenti “in stile medievale” di fine ‘800 primi ‘900. Alcuni esempi di selenite lavorata sono rappresentati dai capitelli neo-romanici nelle due porte della chiesa dei Ss. Vitale e Agricola.
Passiamo ora alla caratteristica che ha reso le due torri così famose: la loro pendenza. La torre della Garisenda è la più pendente avendo un elevato strapiombo (3,22 m). La pendenza delle torri è conseguente alla struttura del sottosuolo. Il terreno al di sotto delle torri è composto da limi e argille a differente livello di consolidamento. Il carico statico delle torri ha determinato, nel tempo, un cedimento differenziale (ovvero non omogeneo) del terreno e delle fondamenta che negli ultimi 100 anni è aumentato con un tasso di 0.3-0.4 mm/anno. E’ comunque tutto sotto controllo, questo fenomeno è costantemente monitorato dagli specialisti.
E ora saliamo i 498 scalini che portano in cima alla Torre degli Asinelli e godiamoci la vista panoramica così come fece, il 18 ottobre 1786, Johan Wolfgang von Goethe nella tappa bolognese del suo “Viaggio in Italia”. Di quanto vide Goethe scrisse così: «Veduta splendida! A Nord si scorgono i colli di Padova, quindi le Alpi svizzere, tirolesi e friulane, tutta la catena settentrionale, ancora nella nebbia. A occidente un orizzonte sconfinato, nel quale emergono solo le torri del Modenese. A oriente, una pianura sconfinata fino all’Adriatico, visibile al sorgere del sole. Verso sud i primi colli dell’Appennino, coltivati e lussureggianti fino alla cima, popolati di chiese, di palazzi e di ville, come i colli del Vicentino. Era un cielo purissimo; non la più piccola nuvola; solo all’orizzonte una specie di nebbione secco.»
Oggi appare un paesaggio profondamente diverso da quello descritto da Goethe, modificato dall’intenso uso del suolo e dall’espansione dei centri urbani e delle aree industriali. Resta comunque sempre riconoscibile il dolce profilo delle colline che si immerge fino a perdersi nella pianura.