Punti di interesse della Val Marecchia
Itinerari geologico ambientali nella valle del Marecchia
1 - Foce del Marecchia
Il Marecchia si getta in mare a Rimini, presso la spiaggia di San Giuliano, dopo aver percorso gli ultimi due chilometri nel "canale deviatore", un alveo artificiale costruito tra il 1924 e il 1930 per allontanare dal centro cittadino gli effetti delle frequenti esondazioni. Per immaginare la forza con la quale degli eventi di piena, storicamente ben documentati, raggiungevano il mare è sufficiente osservare i depositi di ghiaie che si osservano sino all'estremità della sua attuale foce: per trasportare questi sedimenti la corrente del fiume deve essere piuttosto rapida e, come si dice nel gergo geologico, "competente".
Gli etruschi chiamavano il fiume Armne, diventato poi il latino Ariminus, da cui prese il nome l'insediamento portuale che sorse alla sua foce: Rimini. Nei documenti medioevali compare invece il "nuovo" nome Maricle, divenuto poi Maricula, a indicare il "piccolo mare" che si formava presso la sua foce, ampia e paludosa.
In epoca romana il fiume passava sotto il ponte di Tiberio e proseguiva compiendo un'ansa che lo portava a sfociare presso l'odierna stazione, in corrispondenza di una spiaggia più arretrata dell'attuale di circa 1 km. I piloni del ponte ci permettono di scoprire la direzione che aveva il Marecchia 2000 anni fa: la loro base, che si intravvede sott'acqua, è formata da speroni obliqui, così costruiti per fronteggiare la forza della corrente fluviale.
La foce del Marecchia subì nel corso dei secoli successivi alcuni importanti spostamenti, sempre in conseguenza di eventi di piena disastrosi. Intorno all'anno Mille una piena causò la deviazione del fiume all'altezza di San Martino in Ripa Rotta, portando il corso d'acqua a sfociare nei pressi di Viserba, la stessa diversione si verificò all'inizio del '500, quando il Marecchia occupò l'alveo dell'attuale Fossa Viserba.
La direzione odierna del porto canale di Rimini si deve invece alle opere di stabilizzazione e fortificazione dell'ultimo tratto del Marecchia avvenute in epoca Malatestiana (iniziate con Carlo Malatesta, nel 1400); questa foce artificiale, pur subendo diversi danneggiamenti sempre dovuti alle piene, è rimasta più o meno la stessa negli ultimi 600 anni.
Dalla foce partono due piste ciclabili che, percorrendo le sponde opposte, risalgono il corso del Marecchia raggiungendo Ponte Verucchio; percorrendole si hanno innumerevoli opportunità per compiere osservazioni naturalistiche, geologiche e geomorfologiche, tra cui, in sponda sinistra, il Parco della Cava Poggio Berni (punto 4).
Scheda descrittiva del geosito "Foce del Marecchia"
2 - Paleofalesia tra Viserba e Igea Marina
Tra Viserba e Igea Marina, a monte della strada lungomare, si osserva un'ampia scarpata che, con un dislivello che raggiunge i 6-7 m, permette di identificare la separazione tra la pianura alluvionale costruita dal Marecchia e la piana costiera, accresciutasi per apporti di sabbie elaborate dal mare.
Nota come "greppe del mare", questa dolce scarpata, che si prolunga verso sud est fino a diventare molto pronunciata tra Riccione e Cattolica, testimonia un antico livello della battigia, qualche metro più alto di quello attuale, durante una fase climatica calda che si ebbe alla fine dell'ultima glaciazione (circa 10.000 anni fa). Durante questo periodo caldo (terminato probabilmente in epoca post romana) il moto ondoso scalzava i depositi alluvionali del Marecchia, la cui foce si ramificava a formare un piccolo delta.
L'erosione marina ha fatto sì che alla base della scarpata, e a pochi passi dal mare, si formassero alcune importanti sorgenti (Pantera, Sacramora, Sortie), alimentate dalle acque di falda custodite nelle soprastanti alluvioni del Marecchia.
Scheda descrittiva del geosito "Paleofalesia tra Viserba e Igea Marina"
3 - Le grotte di Santarcangelo di Romagna
Il paese di Santarcangelo si estende sul Colle Giove, un piccolo rilievo che si alza in sinistra Marecchia e a breve distanza dal mare.
Il colle è interamente formato dalle Sabbie Gialle (Sabbie di Imola), un'unità geologica costituita da sabbie debolmente cementate dal colore giallo dorato, depositatesi meno di un milione di anni fa lungo le ultime spiagge che, durante il Pleistocene, bordavano l'Appennino.
Le Sabbie Gialle non affiorano in superficie ma sono ben visibili nel sottosuolo, dove si trova un complesso sistema di grotte artificiali. Scavate con diverse tecniche nel corso dei secoli, alcuni studiosi ritengono che le prime grotte si potrebbero far risalire alla stessa fondazione di Santarcangelo, del quale avrebbero costituito, sin dall'origine, una sorta di prolungamento sotterraneo, sviluppandosi nel tempo assieme agli edifici esterni.
Le cavità erano sicuramente già esistenti nel 1496, quando la loro presenza è attestata per la prima volta in un documento notarile.
Allo stato attuale il sottosuolo di Santarcangelo custodisce più di 150 cavità (ma gli studiosi ritengono che ve ne siano molte altre sconosciute), scavate su più livelli all'interno del fianco orientale del Colle Giove. In queste grotte frequenti sono i pozzi di areazione, che garantiscono gli scambi dell'aria tra le parti più profonde e la superficie, mentre alcune di queste sono collegate tra loro da stretti cunicoli.
Le grotte di Santarcangelo mostrano tre diverse tipologie:
- un tipo semplice a base rettangolare o quadrata, a corredo delle abitazioni e ad uso di cantina;
- una pianta tipo "galleria a pettine", dove una stretta galleria è affiancata da nicchie contrapposte; anche in questo caso l'origine è verosimilmente legata a un uso tipo cantina per collocare le botti;
- un tipo più complesso e architettonicamente elaborato che riguarda almeno 5 grotte chiamate: Amati, Contradina, Teodorani, Felici, grotte delle monache.
Per queste ultime cavità l'accuratezza della realizzazione, effettuata con tecniche di lavorazione molto raffinate, fa ipotizzare un'originaria destinazione diversa da quella di semplice deposito-cantina, ben più antica di quella documentata. Anche se è probabile che siano state costruite per la conservazione del vino e degli alimenti, non si esclude (per le parti più antiche) un iniziale utilizzo di culto paleocristiano o di sepoltura. Durante l'ultima guerra molte di queste cavità servirono da rifugio per la popolazione.
Lungo le pareti delle grotte le sabbie mostrano diverse strutture sedimentarie, testimonianza che gli antichi ambienti nei quali si sono deposte corrispondevano a spiagge, mentre i sottili livelli di ciottoli indicano la vicinanza a foci fluviali.
La visita alla grotta monumentale pubblica (con ingresso dalla grotta Amati e uscita dalla Contradina) è possibile in qualsiasi giorno, accompagnati da una guida turistica, partendo dall'ufficio della Pro Loco situato in via C. Battisti 5; alcune grotte private sono visitabili nei giorni di festa, recandosi sul posto.
La grotta monumentale pubblica, sala della Grotta Amati (Foto Paritani, Archivio fotografico
Assessorato al Turismo della Provincia di Rimini)
Scheda descrittiva del geosito " Le grotte di Santarcangelo di Romagna"
4 - Successione pliocenica lungo il Marecchia
Dalla briglia di Ponte Verucchio sino alle località Molino Moroni - Molino Terra Rossa, per quasi 7 chilometri l'alveo Marecchia si snoda incassato tra le rocce sottostanti. Superati i primi 200 m dove le acque scorrono incidendo gli strati calcarei e argillosi della F. di Monte Morello, il fiume è affiancato da alte scarpate lungo cui è esposta una successione di strati argillosi e sabbiosi molto inclinati, la cui sedimentazione risale al Pliocene inferiore e medio (Formazione delle Argille Azzurre). Questa successione raggiunge lo spessore di quasi 2000 m, testimoniando un elevato tasso di sedimentazione nel periodo che seguì la messa in posto finale della coltre alloctona della Val Marecchia. I fondali marini su cui si sedimentavano prevalentemente argille erano abbastanza profondi e talora vi sopraggiungevano correnti di torbida, che trasportando sabbie hanno causato la formazione di strati sabbiosi tra le argille.
Nella parte inferiore della successione, poco oltre Ponte Verucchio, si osservano importanti livelli di frane sottomarine che hanno coinvolto argille da poco depositate, deformandone la stratificazione.
Lo spessore di sedimenti al passaggio tra il Pliocene inferiore e medio (il cui spessore è di circa 800 m) custodisce più di 15 livelli molto fossiliferi, formati da argille e marne laminate, la cui sedimentazione avvenne in condizioni di scarsa circolazione e scarsa ossigenazione delle acque, presupposti che favoriscono la fossilizzazione di diversi organismi, tra cui, nel caso del Marecchia, risultano abbondanti i resti di vertebrati marini, in particolare pesci. Lo studio di queste faune fossili ha permesso di riconoscere una ventina di generi di pesci, tra cui sono frequenti i merluzzi e i pesci ago, ma non mancano pesci spada, squali, razze pesci trombetta e cavallucci marini. Questi organismi indicano perlopiù ambienti di mare profondo e aperto, ma nel caso dei cavallucci marini e dei pesci trombetta l'ambiente di vita era costiero o di mare poco profondo, perciò si ipotizza che per queste specie sia avvenuto un trasporto post-mortem dalla spiaggia verso fondali più profondi.
Alcuni pesci sono invece tipici di mari caldi e tropicali, perciò si ipotizza che la temperatura della acque fosse più elevata di quella attuale.
Interamente dedicato alla geologia e alla paleontologia di questo tratto del Marecchia è il Parco della Cava, in Comune di Poggio Berni. Si tratta di un'area estrattiva dismessa il cui ripristino è incentrato sulla valorizzazione del patrimonio fossilifero del vicino greto, con alcune installazioni e una serie di cartelli illustrativi a carattere didattico e divulgativo.
Scheda descrittiva del geosito "Successione pliocenica lungo il Marecchia"
5 - Verucchio, Torriana, Montebello e Saiano
In vista della pianura, il primi rilievi che spiccano lungo i versanti della Val Marecchia anticipano la complessità geologica che segna gran parte della valle. Dorsali e piccole rupi dai fianchi boscati e in parte rocciosi, alla sommità delle quali si trovano borghi e nuclei abitativi spesso di origine antichissima, si alzano da pendii argillosi scarsamente acclivi, in parte coltivati e in parte segnati da frane e calanchi.
Lungo il versante destro si eleva la mole massiccia di Verucchio, mentre sul fianco opposto della valle spicca l'articolata dorsale che unisce Torriana a Montebello, che marca lo spartiacque tra Marecchia e Uso, prolungandosi geologicamente verso il fondovalle nella spiccata rupe di Saiano. In tutti questi rilievi affiorano le calcareniti di colore chiaro della Formazione di San Marino, le Arenarie del Monte Fumaiolo e le rocce arenacee con conglomerati della Formazione di Acquaviva.
Tutta l'area è segnata da ambienti molto diversificati che custodiscono importanti stazioni floristiche, tanto da aver motivato l'istituzione del Sito di Interesse Comunitario (SIC) Torrina, Montebello e fiume Marecchia ed è attraversata da una rete sentieristica ben segnalata, che permette di compiere passeggiate di diversa lunghezza.
Scheda descrittiva del geosito “Verucchio" Scheda descrittiva del geosito “Rupi di Torriana e Montebello"
6 - Pietracuta
Il piccolo rilievo di Pietracuta si eleva presso il fondovalle, al piede del versante destro del Marecchia e ha nel suo nome la descrizione della sua spiccata forma, quasi una guglia rocciosa.
Nel suo piccolo è formata da ben tre rocce diverse: le calcareniti della F. di San Marino, le Arenarie del Monte Fumaiolo e le arenarie con ciottoli della F. di Acquaviva, mentre alla base è segnata dall'affioramento delle Argille Varicolori della coltre della Val Marecchia.
Sulla rupe, detta anticamente pietra aguzza o Pietragudola, sorgeva l'omonimo Castello risalente al X secolo, di cui rimangono alcune testimonianze architettoniche e i ruderi della fortificazione, la cui funzione era di avvistamento sulla bassa valle del Marecchia, a stretto contatto con la torre di Saiano.
Scheda descrittiva del geosito "Pietracuta"
7 - Costa dello Speco
Le pareti rocciose che lungo il versante sinistro del Marecchia si allungano dal fondovalle sino allo spartiacque con la valle del torrente Uso e sono formate da banconi di conglomerati e arenarie del Pliocene inferiore. Queste rocce si sono depositate su fondali marini abbastanza distanti dalla costa, dove le sabbie e i ciottoli giungevano trasportati da correnti di torbida.
Scheda descrittiva del geosito "Costa dello Speco"
8 - La rocca e i calanchi di Maioletto
La rupe di Maioletto si eleva con forma molto spiccata lungo il versante destro del Marecchia, poco a sud della rupe di San Leo. I suoi fianchi sono segnati da estesi affioramenti rocciosi, nei quali si osservano strati piuttosto spessi di colore giallo, e spiccano potenti banconi formati da ciottoli cementati (conglomerati); si tratta dell'unità geologica nota come Arenarie di Monte Perticara. Le strutture sedimentarie all'interno degli strati sabbiosi indicano che la loro sedimentazione è avvenuta in ambienti di spiaggia, mentre gli strati ciottolosi indicano la vicinanza alle foci fluviali.
Alla base degli affioramenti meridionali ed orientali della rupe è evidente il contatto tra queste rocce e le sottostanti argille della coltre della Val Marecchia, ben affioranti in bacini calanchivi, sui cui la rupe si eleva con un netto gradino morfologico.
A causa dell’intensa fratturazione, numerosi blocchi rocciosi si staccano periodicamente dai fianchi della rupe, accumulandosi ai piedi, da dove, presi in consegna dalle argille, migrano verso gli impluvi calanchivi, "galleggiando" sopra colate di fango.
Alla sommità di Maioletto si trovano i resti di una rocca di origine medievale, un tempo circondata da mura, mentre più in basso, lungo il versante sud occidentale, sorgeva un paese.
Questi luoghi furono teatro di una grande frana che, staccatasi dalle pendici più ripide il 29 maggio del 1700, causò 20 morti, la distruzione del paese e dell’omonima Rocca, ed il definitivo abbandono del nucleo abitato.
Scheda descrittiva del geosito "La rocca e i calanchi di Maiolett
9 - Monte Ceti
Questo piccolo rilievo, segnato da un’ampia area di cava, si alza dal fondovalle alla sinistra Marecchia ed è costituito dalle calcareniti organogene della Formazione di San Marino e dalle Arenarie della Formazione del Monte Fumaiolo.
Molto interessante e ben visibile nel paesaggio, da diverse prospettive, è il contatto tra le scure argille della coltre e le chiare rocce che formano il Monte Ceti.
Nell’area estrattiva, al contatto tra le argille e la Formazione di San Marino, è stato ritrovato nel settembre 2010 uno straordinario cranio fossile di rettile marino di età è cretacea (90-65 milioni di anni fa) che, per le caratteristiche che presenta, è stato attribuito a un mesosauro. Il resto fossile ha dimensioni di circa 60 cm x 30 ed è ben conservato (il cranio è la parte del corpo di solito si conserva peggio): la dimensione e la forma dei denti, aguzzi e taglienti e lunghi fino a 15 cm, fanno presupporre che l’esemplare a cui apparteneva il cranio fosse almeno 10 m di lunghezza. Il cranio è conservato presso il Museo Geologico universitario G. Capellini di Bologna.
Le argille alloctone sono in genere povere di contenuto paleontologico. Per i caratteri anatomici e per la rarità questo reperto assume un rilevante valore scientifico, da cui si possono trarre numerose informazioni paleozoologiche e paleoambientale.
Il sito è noto anche per la ricchezza di septarie, concrezioni naturali che includono cristalli di gesso, calcite, aragonite e barite. Nelle argille sono comuni anche isolati cristalli di gesso e noduli di pirite-marcasite.
Scheda descrittiva del geosito "Monte Ceti"
10 - Gessi tra Torriana e Montebello
Tra Torriana e Montebello affiora un piccolo lembo di gesso selenitico messiniano, inglobato nelle argille della colata della Val Marecchia, che si intervallano alle rupi originando una pronunciata sella.
Presso l'affioramento si trova l'unica cava ancora attiva in Emilia Romagna dove si estrae il gesso a scopo ornamentale: la roccia è tagliata in massi squadrati e successivamente ridotta in grandi lastre.
Lungo le sezioni operate dalla cava è possibile osservare una parte della successione evaporitica con alcuni caratteri di interesse stratigrafico e sedimentologico.
Si riconoscono 3 banconi di gesso selenitico, tipicamente formati da grandi cristalli a coda di rondine, separati da strati sottili di argille scure e bituminose.
Scheda descrittiva del geosito "Gessi tra Torriana e Montebello"
11 - Miniere di Perticara
Perticara sorge lungo il crinale tra Marecchia e Savio, al passaggio tra gli affioramenti di arenarie plioceniche che formano il massiccio di Monte Aquilone, Monte Perticata e Monte Pincio e una successione di sedimenti in prevalenza argillosi, miocenici, che si sviluppa lungo la valle del torrente Fanante, in direzione del Savio.
Anche se in prossimità di Perticara sono gli imponenti rilievi arenacei a dominare la scena paesaggistica, l'interesse geologico dell'area si focalizza nella successione di strati che forma i versanti a valle del paese. Gli affioramenti rocciosi lungo le valli di Fanante e Fanantello hanno una straordinaria valenza scientifica, mentre il sottosuolo custodisce le gallerie delle miniere di zolfo che per lungo tempo sono state attive in questi luoghi.
Tra gli strati miocenici argillosi (Formazione dei Ghioli di tetto) infatti si trovano peculiari livelli di gesso risedimentato, ossia una roccia formata da frammenti di gesso dalle dimensioni svariate, la cui origine è legata all'erosione di preesistenti strati di gesso cristallino (selenitico), che, poco dopo essersi sedimentato, si trovava già esposto agli agenti erosivi. A questo tipo di gesso "clastico" sono associati gli importantissimi giacimenti di zolfo di Perticara, la cui origine non a tutt'oggi chiarita. E' possibile che questo minerale si sia formato in seguito a complesse reazioni chimiche tra il gesso e le sostanze bituminose presenti nelle argille ad esso intercalate, oppure che la sua sintesi sia avvenuta in seguito all'azione di batteri che vivono, grazie a complesse reazioni biochimiche, "estraendo" dal solfato di calcio l'acido solfidrico (sono detti solfobatteri), con la successiva formazione di zolfo.
Gli strati gessosi nella successione risultarono essere 13, tra questi alla base ne esiste uno particolarmente spesso (da 14 a 22 m) detto nel gergo minerario "strato maestro", che, contendo una percentuale in zolfo del 38-40%, costituiva da solo l'importanza del giacimento, essendo gli altri strati solfiferi, detti "seghe", meno spessi e con un tenore inferiore di zolfo.
Il distretto minerario di Perticara ha avuto una storia complessa, essendovi state attive le miniere dal XVII secolo. Tra le varie fasi estrattive le più importanti presero il via nel 1917, con il ritrovamento di un importante filone solfifero, e terminarono nel 1964 con la definitiva chiusura dei siti estrattivi e delle attività correlate.
I filoni solfiferi principali si estendevano in profondità per diverse centinaia di metri e le gallerie li inseguivano, spingendosi sino a -740 m di profondità su 9 livelli di coltivazione, con uno sviluppo in pianta di oltre 100 chilometri. L'estrazione dello zolfo avveniva per fusione (lo zolfo fonde a temperature di poco superiori a 100°) all'interno di calcheroni, forni circolari e interrati dove la roccia veniva riscaldata sino alla fusione dello zolfo, poi in strutture più efficienti, i forni Gill.
Queste attività secolari hanno lasciato tracce diffuse; il paesaggio ha così acquisito un aspetto fortemente antropizzato, soprattutto nei luoghi in cui venivano alla luce le numerose gallerie. Lo sviluppo di queste miniere ha determinato uno sfruttamento intensivo delle zone di estrazione ed il rilascio dei materiali di scarto (“rosticcio”, “bruciaticcio”, ecc.); così nelle adiacenze delle zone minerarie si sono formati rilievi morfologici alti anche diverse decine di metri o coltri di copertura diffusa sui versanti.
A breve distanza dal paese, all'interno dell'ex Cantiere Solfureo Certino si trova il Museo Storico e Minerario di Perticara Sulphur, che in una cornice di archeologia industriale custodisce le più importanti testimonianze dell’attività mineraria, ed organizza numerose attività didattiche e divulgative.
La zona è attraversata dall'ottava tappa del cammino di San Vicinio, un lungo e articolato percorso ad anello che valica montagne e colline attorno alla valle del Savio, raggiungendo la Verna e il Parco delle Foreste Casentinesi.
Scheda descrittiva del geosito "Miniere di Perticara"
12 - Monti Pincio, Perticara e Aquilone
A ridosso del paese di Perticara il crinale tra Marecchia e Savio è segnato dall'imponente dorsale articolata nei rilievi di Monte Perticara, Monte Aquilone e Monte Pincio. Dal punto di vista geologico si tratta di un'area molto importante, riferimento per lo studio dell'omonima litofacies arenaceo-conglomeratica della formazione pliocenica delle Argille Azzurre.
Si tratta di arenarie dal colore giallo dorato all'interno delle quali si osservano importanti intercalazioni conglomeratiche, cioè spessori di ciottoli cementati la cui composizione testimonia l'erosione di rocce liguri. I fondali su cui andavano sedimentandosi le sabbie e i ciottoli erano prossimi alla linea di riva, poco profondi e battuti dal moto ondoso; lungo le spiagge si trovavamo anche le foci dei fiumi che solcavano le valli retrostanti e i rilievi di un Appennino da poco emerso dal mare. Dalle rocce della coltre ligure che vi affioravano provengono i ciottoli dei conglomerati, la loro presenza testimonia anche la forza con cui le acque fluviali raggiungevano la foce.
Nella zona soprastante il paese di Perticara le arenarie che formano la parete del Monte Aquilone sono attraversate da una fitta maglia di fratture, a cui si deve il distacco di blocchi rocciosi con la mobilizzazione di frame di crollo. di varie dimensioni, noti anche storicamente.
Foto Archivio Zangheri
Scheda descrittiva del geosito "Monti Pincio, Perticara e Aquilone"
13 - Monte Ercole e Monte San Silvestro
Poco a sud di Perticara, lungo lo spartiacque tra Marecchia e Savio, si elevano Monte San Silvestro e Monte Ercole, due rilievi dalla forma tozza e piramidale e in massima parte boscati, costituiti da arenarie grossolane dal colore grigio-verdastro, a composizione molto varia: sono presenti granuli di quarzo e di feldspato, frammenti di miche e minerali di origine vulcanica, ciottoli quarzosi. Queste arenarie sono alternate a marne e a strati argillosi. La sedimentazione di questi strati è avvenuta su fondali piuttosto profondi tra l'Eocene medio e il superiore, per l'arrivo di correnti di torbida che trasportavano sabbie e fango.
Le pendici dei due rilievi sono segnate da alcune morfologie tipicamente legate allo sviluppo di frane profonde, come ripiani che a diverse quote muovono la pendenza del versante, contropendenze e "sdoppiamenti di cresta". Il versante che scende verso il Savio è quindi interessato da una serie di movimenti franosi molto complessi, che coinvolgono anche i terreni prevalentemente argillosi riferiti al Miocene. Si hanno notizie di imponenti frane che, a partire dal 1555 e fino al 1934, hanno interessato la zona dell’abitato di Sant’Agata Feltria, sviluppandosi in due diramazioni principali, una delle quali tuttora attiva. Il 25 marzo del 1561 …"un grandioso scoscendimento ebbe inizio sotto la vetta del M. Ercole, in loc. Vallone, che raggiunse nei giorni successivi le case di Sant'Agata Feltria, e, continuando la sua lenta discesa verso il fondovalle, sbarrò il T. Marecchiola per fermarsi a ridosso dei fianchi del monte S. Lorenzo, verso Rosciano"… "fu sentito un immenso boato…quando il monte fu rotto dalla violenza delle acque… E fu prima sradicato il Turrito, quindi la Villetta e Casa Nuova, site fra il monte e la città. Poco di poi proruppero nella città le acque e dalle fondamenta sollevarono il monastero di S. Chaira con la chiesa, l'ospizio, le case infine tutto ciò che era sotto la città per 150 passi di larghezza e tre miglia di lunghezza, finchè non colpirono il M. S. Lorenzo, dove si fermarono". L’abitato fu interamente distrutto e fu costruito un nuovo quartiere fra la rocca dei signori Fregosi ed il letto della frana. Persi et al. (1991) - Le frane nella storia della Valmarecchia. Atti del Convegno "la memoria storica del dissesto", a cura di G. Allegretti e F.V. Lombardi
Per la loro importanza naturalistica sui due rilievi insiste da tempo un'area BioItaly, una forma di schedatura al fine conoscitivo volta alla tutela dell'area floristica di Monte Ercole, che oggi ricade nel Sito di Interesse Comunitario IT4090004 - SIC - Monte S. Silvestro, Monte Ercole e Gessi di Sapigno, Maiano e Ugrigno.
Oltre agli estesi castagneti, tra cui si trovano grandi esemplari secolari, i rilievi sono rivestiti da boschi cedui con roverella e cerro, tra cui si trova, vera e propria rarità forestale, un piccolo bosco di roveri (Quercus petraea), quercia tipicamente legata ai suoli acidi (in questo caso sviluppatisi su un affioramento di arenarie scure), a cui si accompagnano il carpino bianco e l'erica arborea.
Nel sottobosco e al margine dei boschi si rinvengono numerose specie protette, tra cui la bellissima orchidea Barbone adriatico (Himantoglossum adriaticum), il raro Campanellino (Leucojum vernum).
La zona è percorsa da un sentiero didattico corredato da cartelli, con segnavia e segnaletica informativa e didattica.
Scheda descrittiva del geosito "Monte Ercole e Monte San Silvestro"
14 - Monte San Marco
Il Monte San Marco è un rilievo di forma piramidale che spicca lungo il crinale tra Marecchia e Conca, a nord del Carpegna. Costituito dalle rocce della Formazione di San Marino, appoggiate sulle argille della coltre della Val Marecchia, il piccolo monte risalta nel paesaggio con forma spiccata, tanto da esser stato raffigurato nella tela di Piero della Francesca “Battesimo di Gesù”, dove: "il fondale della valle racchiusa dal Monte Carpegna, sopra Monte San Marco e Monte della Croce, fino a scivolare verso Soanne e poi il fondovalle del Marecchia" (Il Paesaggio invisibile, R. Borchia R. Nesci O., 2009).
Calcareniti e biocalcareniti affiorano estesamente lungo le pendici del Monte, dove è facile cogliere le loro principali caratteristiche: la fratturazione, il colore che varia dal grigio chiaro al giallo arancio, la granulometria grossolana, la prevalenza dei frammenti fossili rispetto a granuli di altra natura, e i numerosi resti fossili, ben identificabili, che punteggiano la roccia.
Scheda descrittiva del geosito "Monte San Marco"
15 - Pennabilli
Il paese, nato dall'unione dei castelli di Penna e Billi, si estende alla sommità di due piccole rupi dette rispettivamente il Roccione e la Rupe, costituite da calcareniti della Formazione di San Marino. Una grande frana interessa il versante da cui si elevano queste rupi.
Visitando Pennabilli si scopre l'impianto medievale del centro abitato, attraversato da vie che, risalendo sino alla sommità delle due rupi, si trasformano in sentieri e permettono di apprezzare una veduta panoramica sulla valle assieme a una prospettiva ravvicinata sulla mole imponente del Monte Carpegna.
A Pennabilli si può visitare il museo diffuso "I luoghi dell'anima", che comprende l'orto dei Frutti dimenticati e molti altri luoghi legati all'attività del poeta e scrittore Tonino Guerra. Sulla cima del Roccione si trova un'area di sosta dedicata al legame che unisce questo paese al Tibet, in memoria del monaco di Pennabilli Orazio Olivieri, che nel corso del XVIII vi trascorse 33 anni, compilando il primo dizionario tibetano italiano.
Scheda del geosito "Pennabilli"
16 - Sassi Simone e Simoncello
Un singolare paesaggio, nel quale si esprimono straordinari aspetti geologici, geomorfologici, naturalistici e storici, segna il crinale tra il Marecchia e il Foglia, dove svettano due rilievi dalla forma tabulare: i Sassi di Simone e Simoncello.
Si tratta di un'area molto rappresentativa della coltre della Val Marecchia; su un'estensione di argille (dette brecce poligeniche di Sasso Simone e Simoncello) sono "appoggiati" questi due rilievi calcarenitici (Formazione di San Marino).
I versanti che circondano i Sassi presentano due facce molto diverse tra loro: verso nord i pendii argillosi sono scarsamente acclivi e densamente ammantati da un esteso bosco, che supera gli 800 ettari, formato quasi esclusivamente dal cerro (con carpino bianco e bellissimi agrifogli). Il cerro è una quercia (Quercus cerris) tipicamente legata alla fascia collinare, che in questa situazione, favorita dalla presenza del suolo argilloso che predilige, supera il suo limite altitudinale, raggiungendo i 1100 metri di quota ed andando ad occupare la fascia altitudinale del faggio. Il faggio ha qui uno sviluppo fortemente limitato, anzi "bloccato" (blocco edafico) dalla presenza del suolo argilloso, e tornerà a dominare la scena attorno ai sassi, dove si estendono le coltri di detriti di natura calcarea.
Il sottobosco della cerreta è ricco di numerose specie protette, che fioriscono dalla primavera all'estate.
Verso sud invece si approfondiscono estesi bacini calanchivi, che formano le testate del torrente Torbellino e del Torrente Seminico (quest'ultimo tributario del Foglia), nei quali sono ben visibili le argille della coltre ligure.
Esemplari e ben riconoscibili, sia da lontano che da vicino, sono le forme che indicano i fenomeni di lento scivolamento delle masse rocciose rigide sulle argille sottostanti, con una evidente distensione della compagine rocciosa e la conseguente formazione di crepe, avvallamenti, valloni che si aprono sui pianori sommitali e lungo le pareti dei Sassi.
La peculiare posizione dominante, al confine tra Granducato di Toscana e Montefeltro, fece nascere l'idea a Cosimo de' Medici di edificare sul Sasso Simone una città fortificata, chiamata Città del Sole, le cui breve sorte fu dettata dalla severità del clima e dalle conseguenti frane. Si trovano ancora i resti della strada lastricata che saliva alla città, assieme a quelli di alcuni edifici e della parte basale delle mura difensive.
Scheda del geosito "Sassi Simone e Simoncello"
17 - Poggio Miratoio
Nel piccolo rilievo di Poggio Miratoio, costituito dalla Formazione Marnoso Arenacea, sono presenti diverse cavità naturali, tutte di piccole dimensioni e originate dall'allargamento di fratture o piccole faglie a causa della forza di gravità, che ha portato allo slittamento e ad progressivo allontanamento dei blocchi rocciosi. L’evoluzione nel tempo di questo fenomeno ha permesso il distacco ed il crollo di blocchi rocciosi (limitati dai piani di frattura e da altre superfici di debolezza, come le superfici di stratificazione) più o meno grandi dalla volta, consentendo così la formazione di piccole salette.
Queste cavità sono molto conosciute nella zona e sono state storicamente frequentate e utilizzate dall’uomo. La Grotta del “Beato Rigo” è la cavità più nota poiché la tradizione vuole sia stato il ricovero e luogo di penitenza dell'eremita Agostiniano Beato Rigo, vissuto nel XIV secolo. La “Tana di Barlaccio”, detta anche “Antro di Barlac', si apre sul versante nord del rilievo denominato “i Morroni”; al termine della II guerra mondiale, la grotta è stata il rifugio per alcuni soldati sloveni fuggiti da un campo di prigionia in Anghiari e dunque letteralmente nutriti, per più mesi, dalla gente di Miratoio.
Infine la Grotta della “Tana Buia”, caratterizzata da due impervi e scomodi ingressi, durante la II guerra mondiale divenne luogo di ricovero per i beni delle famiglie di Miratoio che furono costrette ad abbandonare temporaneamente il borgo (1944).
Scheda del geosito "Poggio Miratoio"
18 - Sorgente del Senatello
Alle pendici del Monte Aquilone, racchiuse da un'opera di captazione che risale al 1920, si trovano le sorgenti del Senatello, situate tipicamente al contatto tra due rocce tra loro molto diverse. Il Monte Aquilone è infatti composto dalle calcareniti della Formazione di San Marino, rese molto permeabili da una fitta maglia di fratture, ed appoggiate sulle rocce argillose, impermeabili, della grande coltre ligure. Le rocce fratturate funzionano come un grande magazzino d'acqua, all'interno del quale la lenta filtrazione porta alla formazione di una falda a contatto con il "sostegno" impermeabile delle argille liguri. Intercettato dalla superficie, questo contatto restituisce le acque sorgive.
Tutto il complesso montuoso tra Monte Aquilone e Monte Fumaiolo è caratterizzato da questa struttura geologica e risulta molto ricco di acque; tra le tante sorgenti si trovano quelle del Tevere, alle pendici orientali del Fumaiolo.
Le sorgenti del Senatello, in origine captate per essere dirottate verso la valle del Savio, oggi riforniscono le abitazioni della valle del Senatello.
Sotto la strada che passa accanto alla captazione si trova una fontanella e, a breve distanza, il “troppo pieno” della sorgente, una copiosa fuoriuscita che testimonia la straordinaria portata di queste vene d'acqua.
Scheda del geosito "Sorgente del Senatello"
19 - Sorgente del Marecchia
Risalendo la valle del Marecchia, a ridosso del crinale appenninico principale, si incontra la confluenza tra due rami d'acqua di importanza simile: il torrente Presale che, dirigendosi verso sud, ha origine ai piedi dell'Alpe della Luna, e il fiume Marecchia, il cui corso piega verso ovest diramandosi in un'ampia testata, oltre la quale si apre l'alta valle del Tevere.
Lungo questo spartiacque il paesaggio permette di cogliere le diverse unità rocciose che ne formano l'ossatura. Subito evidenti sono le rocce marnose, di colore grigio chiaro, denudate nelle incisioni calanchive che interrompono i prati (Formazione di Vicchio). Qui la vegetazione è assai diradata e il ginepro è segnale di un suolo scarsamente evoluto e di difficile colonizzazione; sono presenti a margine rimboschimenti a pino nero, specie esotica in genere utilizzata per stabilizzare le pendici con scarso spessore di suolo.
Le sorgenti del Marecchia si trovano lungo una vallecola che si approfondisce sul fianco orientale del Poggio Castagnolo, a breve distanza dalla cima del Monte della Zucca, un complesso montuoso formato dagli strati della Marnoso Arenacea e rivestito dai faggi.
Verso est invece, il crinale da cui si eleva il Poggio Tre Vescovi e le zone circostanti vedono l'affioramento delle unità liguri della coltre della val Marecchia.
Le sorgenti si possono raggiungere con una breve escursione che parte poco a monte del paese di Pratieghi. Seguendo i segnavia del CAI si arriva al peculiare crinale tra Marecchia e Tevere, tra calanchi, campi, siepi e lembi di bosco, da cui si aprono spettacolari vedute sul complesso Monte Fumaiolo-Monte Aquilone, sull'alta valle del Tevere e sui vicini rilievi del Poggio tre Vescovi e Monte della Zucca. Dal crinale il sentiero scende mantenendosi a margine del rimboschimento, inoltrandosi poi nella faggeta e risalendo il corso del Marecchia sino alla sorgente, dove è presente anche un punto attrezzato per la sosta.
Scheda del geosito "Sorgente del Marecchia"
20 - Molino di Bascio
Nella parte alta della valle il fiume corre incassato tra versanti molto ripidi, costituiti dalla Formazione Marnoso-Arenacea, come si può vedere nei diversi affioramenti che affiancano il greto tra le confluenze tra il Marecchia e i torrenti Presale e Senatello.
All'altezza di Molino di Bascio il versante sinistro della valle è segnato da affioramenti particolarmente estesi, dove è esposta la ritmica alternanza di strati arenacei e marnosi, tipica di questa formazione geologica. Le pareti rocciose sono attraversate da uno strato particolarmente spesso, esempio molto significativo di "strato guida". Gli strati guida permettono al geologo di orientarsi nelle successioni torbiditiche, che, essendo formate da migliaia di strati molto simili tra loro, sono difficili da studiare, soprattutto se si vogliono confrontare tra loro diversi affioramenti.
Gli strati guida sono dunque strati, o gruppi di strati (in tal caso si parla di orizzonti guida), facilmente distinguibili per lo spessore, la composizione e la provenienza, quest'ultima si individua grazie allo studio delle controimpronte di fondo. Gli strati guida per essere tali, oltre ad essere ben riconoscibili, devono possedere anche una grande estensione, in modo da consentire al geologo di orientarsi tra affioramenti distanti tra loro anche molti chilometri.
Questo strato guida viene chiamato Strato Contessa, in riferimento alla Valle della Contessa, nei pressi di Gubbio, dove affiora con il suo spessore massimo, ed è probabilmente lo strato guida più importante dell’Appennino settentrionale. Oltre ad essere il primo strato guida riconosciuto in questa formazione, presenta un'estensione veramente straordinaria, poiché si può seguire ininterrottamente per distanze che superano i 150 km: partendo dall'Umbria, si prolunga attraverso le Marche sino alla Romagna, con la progressiva diminuzione dello spessore.
Nella valli romagnole il riconoscimento dello Strato Contessa è abbastanza facile, dal momento che presenta uno spessore veramente straordinario, in particolare nella sua parte marnosa, di colore grigio chiaro, che può raggiungere gli 8 metri, mentre la sua parte arenacea, di colore beige-marrone, varia tra 3 e 5 metri.
Per spiegare la straordinaria estensione di questo unico strato si è ipotizzato che la sua deposizione sia avvenuta in seguito a un importante evento sismico, durante il Langhiano superiore (circa 14 milioni di anni fa), che avrebbe causato la messa in sospensione nell'acqua di enormi quantitativi di sedimento.
Con il procedere degli studi, all'interno della Marnoso Arenacea sono stati riconosciuti numerosi strati e orizzonti guida, grazie ai quali è stato possibile ricostruire nel dettaglio gli eventi che si sono succeduti nella sedimentazione di queste torbiditi.
Lungo il versante opposto della valle, alla sommità di un poggiolo, si trova il borgo di Bascio, sovrastato dall'omonima torre, testimone di un grande castello dominante sulla Valle del Marecchia, risalente al 1200.
Ai piedi della Torre di Bascio si trova "II giardino pietrificato", opera di Tonino Guerra.
Scheda del geosito "Molino di Bascio"