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I Borbone di Parma

Casino dei Boschi

Nel 1731, dopo la morte di Antonio Farnese, il ducato passó ai Borbone. La rocca di Sala rimase residenza ducale, assiduamente frequentata da Filippo, grande appassionato di caccia, che estese le riserve ducali, popolate da caprioli, daini e cervi, fino alle porte di Parma. Nella seconda metà del XVIII secolo, Maria Amalia, figlia di Maria Teresa d'Austria e moglie di Ferdinando di Borbone, incaricó l'architetto Petitot di costruire, sulle colline prossime a Sala, il Casino dei Boschi. L'edificio, pensato come luogo di villeggiatura estiva e casino di caccia, venne portato a termine nel 1789. Si articolava intorno a due cortili: il primo, il cortile d'onore, sul lato ovest, e il secondo in posizione piú arretrata, dove si affacciavano l'oratorio munito di torre e i locali di servizio. Nell'occasione vennero anche piantati boschi di castagno, frutteti e vigneti, fu vietato il taglio degli alberi e impedito il pascolo.

L'epoca di Maria Luigia

L'occupazione napoleonica decretó la fine del governo dei Borbone e, piú tardi, il congresso di Vienna assegnó il ducato di Parma a Maria Luigia, moglie di Napoleone e figlia dell'imperatore Francesco I d'Austria. Nel 1819 Maria Luigia acquistó dagli eredi di Maria Amalia il Casino dei Boschi e l'annessa tenuta di una sessantina di ettari. Tra il 1819 e il 1826, l'edificio venne ampliato e rinnovato sotto la guida di Nicola Bettoli. Su incarico di Maria Luigia, Carlo Barvitius, giardiniere formatosi alla corte degli Asburgo, avvió opere di trasformazione della viabilità interna, della regimazione delle acque e della forestazione. Nel parco del Casino dei Boschi, vennero introdotti pioppi, catalpe, gelsi della Cina, oltre a numerosi bulbi e altre piante erbacee provenienti dall'Olanda. Nel disegno del giardino, riprogettato secondo i canoni del gusto all'inglese, che già Barvitius aveva adottato per il parco di Colorno, vennero abbandonate le forme geometriche a favore di una maggiore naturalità. Nel disporre le piante si tenne conto, in ogni caso, del colore che il fogliame assumeva al variare delle stagioni, dell'intensità della luce sulle chiome nei vari momenti della giornata e della particolare scena che i vari angoli del parco erano destinati a rappresentare. La viabilità, prima ridotta a stradoni di accesso e carrarecce agricole o di servizio alle battute di caccia, venne arricchita con viali sinuosi che diedero al paesaggio una nuova configurazione. Nel 1827 furono annesse diverse aree limitrofe: la tenuta del Ferlaro, i boschi di Montetinto, la tenuta di Montecoppe. Sempre nel parco vennero introdotti 300 faggi dal Monte Montagnana, 1500 faggi e 300 abeti dal Lago Santo parmense, larici, abeti e pini dalle montagne trentine. Nel 1846 Michele Leoni, nel suo libro "Il giardino di Colorno e i Boschi Ducali descritti" annotava la presenza di pini, frassini, faggi querce, olmi, platani, abeti e "albori di ogni guisa", di un "pomposo castagneto a piante rade ma di vaste braccia", di "un piccol lago con isoletta ombreggiata da salici piangenti e sul margine un vivaio di piante esotiche", di recinti con fagiani, daini e caprioli.

Dai Carrega al parco

Lago delle Navette

Con la morte di Maria Luigia, nel 1847 il ducato passó a Carlo III dei Borbone di Lucca e, con l'Unità d'Italia, i Savoia entrarono in possesso della tenuta dei boschi di Sala e Collecchio, estesa allora su 585 ha (dei quali 550 compresi entro gli attuali limiti del parco); nel 1865 i boschi vennero dichiarati "Riserva di caccia reale dell'ex Ducato". In seguito i possedimenti furono peró smembrati; il re, come ricompensa per la direzione dei lavori del Frejus, cedette la tenuta all'ingegner Grattoni; e alla sua morte la proprietà venne acquistata dalla famiglia Carrega. Questi ultimi, appartenenti a una nobile casata di origine piemontese, in seguito trasferitasi in Liguria, diventarono nei primi decenni del novecento gli unici proprietari di una tenuta di circa 1200 ha con caratteristiche di grande omogeneità. In quegli anni venne proseguito l'impianto di alberature d'alto fusto nella zona di Montetinto, già iniziato da Maria Luigia, e fu avviata la costruzione del Lago del Casino o di Ponte Verde e del Lago delle Navette. Il principe Andrea Carrega, appassionato botanico e competente selvicoltore, allestí una xiloteca di 555 esemplari legnosi, corrispondenti alle specie arboree presenti nei boschi. Alla morte di Andrea Carrega, i figli alienarono gran parte dei terreni, favorendo la lottizzazione di alcune aree e alterando parzialmente la continuità paesaggistica dei boschi. All'inizio degli anni '70, fra i comuni della zona, si costituí un consorzio per l'acquisizione e la destinazione a parco pubblico delle aree boschive. L'intero complesso dei Boschi di Carrega venne successivamente vincolato a "verde pubblico" dal comune di Sala Baganza, creando le premesse della successiva istituzione del parco regionale.

Approfondimenti

La tenuta di caccia dei Farnese
Quando alla metà del '500 i Farnese entrarono in possesso dei ducati di Parma e Piacenza, gran parte dei boschi intorno a Sala e Collecchio appartenevano alla nobile casata dei Sanvitale, feudatari del luogo da circa tre secoli. Le cosiddette "terre di Sala", in particolare, racchiuse tra il torrente Baganza e le vaste distese boscate circostanti, furono per decenni oggetto delle mire dei Farnese, che già esercitavano diritto di caccia sui boschi vicini. Nel 1612, Ranuccio I Farnese, fece giustiziare, dopo averli accusati di cospirazione ai suoi danni, Gianfrancesco e Girolamo Sanvitale e Barbara Sanseverino, riuscendo ad annettere ai suoi possedimenti le loro dimore di Sala e Colorno. La rocca di Sala e il suo territorio, da simbolo di autonomia feudale, si trasformarono cosí in residenza temporanea e tenuta di caccia della corte di Parma. In seguito agli ampliamenti voluti da Edoardo Farnese nella prima metà del '600, divennero parte di una piú vasta tenuta venatoria che dall'Enza, toccando Langhirano, Gaiano e Collecchiello, si prolungava fino al Taro.