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Storia

Parco regionale Corno alle Scale

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Le terre di Belvedere

Cascate del Dardagna -autore M.BarbiLe zone intorno al Corno alle Scale sono state frequentate fin dai tempi preistorici, come testimoniano i numerosi frammenti dell'età della pietra rinvenuti a Sboccata dei Bagnadori e i vari ritrovamenti dell'età del bronzo. Il primo documento storico, di dubbia autenticità, é un decreto del 753 con cui il longobardo Astolfo dona all'Abbazia di Nonantola le terre della "Massa Lizano", con l'antichissima pieve di San Mamante. Il toponimo Belvedere compare, invece, solo dopo il 1227, e si deve a un castello eretto dai bolognesi in posizione panoramica. In epoca comunale intorno ai castelli, alle rocche minori e alle parrocchie si organizzarono cinque piccoli comuni, poi riuniti in quelli di Belvedere e di Rocca Corneta. Lo spartiacque appenninico rappresentó sempre una naturale divisione fra le terre emiliane e toscane, ma a ovest il confine fu per secoli oggetto di contesa fra Bologna e il Frignano. Nel 1234, ad esempio, Bologna occupó Fanano e Sestola e nel secolo successivo sui Monti della Riva sorsero vari presidi fortificati voluti dagli Estensi, poi demoliti in seguito a un accordo fra le parti; ma le controversie continuarono e la situazione si stabilizzó solo dopo il 1763, con la posa di una serie di cippi confinari. Fu in questa occasione che l'antico Passo della Calanca divenne il Passo dei Tre Termini, perché segnava il confine fra le terre dello Stato Pontificio, il Granducato di Toscana e i possedimenti della Casa d'Este. Per il valico transitava probabilmente la piú importante via medievale di questo tratto di Appennino. Una via alternativa portava al Passo dello Strofinatoio, altre risalivano la valle del Dardagna, mettendo in comunicazione Rocca Corneta e le terre del Belvedere con l'alto Frignano. Una importante mulattiera seguiva il crinale che da Monteacuto conduce al Passo di Porta Franca e quindi in Toscana: oltre che da pastori e commercianti, venne utilizzata da fuggiaschi e bande di armati all'epoca di guelfi e ghibellini; per la sua difesa venne costruito il castello di Monteacuto delle Alpi; ancora oggi la si puó percorrere tra estesi boschi di faggio e vecchi metati abbandonati (i cosiddetti "casoni").

L'architettura della montagna

foto: camini della Val Dardagna - autore P.Dall'OmoLe rocche, le torri e i castelli del sistema difensivo medievale sono stati tutti demoliti o trasformati; a volte, come a Vidiciatico, una torre é diventata la base di un campanile. Fra gli edifici religiosi il tempietto a lato della moderna chiesa di San Mamante di Lizzano, ritenuto di origine preromanica, é sicuramente l'elemento architettonicamente piú rilevante, ma altri antichi edifici religiosi sono presenti a Gabba, Grecchia, Monteacuto delle Alpi e Rocca Corneta, dove un vecchio campanile su una rupe domina ancora la valle del Dardagna; in suggestivi scenari naturali sono situati i santuari di Madonna dell'Acero e di Madonna del Faggio. La pietra é naturalmente il materiale prevalente: le vecchie case, i mulini e i "casoni" sono costruiti con solidi blocchi di arenaria coperti di piastre (le cosiddette "piagne"), spesso abbelliti da figure, nicchie e altri particolari scultorei opera di abili scalpellini locali. Una curiosità sono i tipici comignoli tondi, con una lastra circolare di copertura, che rappresentano una caratteristica della valle del Dardagna. Begli esempi di edilizia montanara si trovano nei borghi di Monteacuto e Farné e in località minori come Torlaino e Cà Gabrielli. 

L'economia del faggio e del castagno

Essiccatoio - Archivio ParcoGli estesi boschi hanno sempre rappresentato una risorsa primaria per la semplice economia del Belvedere. Il legname di faggio era molto apprezzato e i tronchi venivano trasportati verso Bologna; parte del legname era impiegato per produrre carbone nelle apposite radure all'interno dei boschi. Con il legno di faggio si realizzavano utensili e oggetti casalinghi e la cenere veniva usata come fertilizzante e nella fabbricazione del vetro; l'olio ottenuto dai frutti era ancora commerciato all'inizio del secolo scorso. I boschi di castagno fornivano anch'essi legna da ardere o da lavoro, ma soprattutto i frutti erano importanti per il fabbisogno alimentare delle popolazioni locali. In aprile si procedeva alla potatura e alla ripulitura delle piante (in dialetto, la "scamajadura"); ottobre era il mese della raccolta e chi non possedeva un castagneto lavorava per altri tenendo per sé la terza parte del ricavato; quando il periodo della raccolta era concluso, veniva concesso a tutti di "ruspare", ossia di andare alla ricerca delle castagne rimaste. Dopo essersi essiccati nei "casoni", i frutti sbucciati passavano sotto le macine dei mulini che li trasformavano in preziosa farina per l'inverno. Durante la stagione favorevole i pascoli della Nuda e dell'Alpe di Rocca Corneta accoglievano greggi di pecore e, in misura minore, bovini. In autunno le mete tradizionali erano la pianura bolognese e la maremma toscana o romana. Nei primi decenni del nostro secolo si registró una discreta emigrazione verso l'America e, all'epoca delle colonie, verso l'Africa. Nei paesi restavano i vecchi, i bambini e le donne, che trascorrevano l'inverno lavorando la lana o la canapa comprata ai mercati. A Panigale e Porchia, due località vicine a Lizzano, furono attive per quasi tre secoli alcune ferriere che davano lavoro a decine di persone, anche provenienti dalla Toscana. La ferriera era detta "magona", e gli abitanti di Lizzano mantengono tuttora il soprannome di "magoni".

Il borgo di Poggiolforato

Tra la fine del XIII secolo e i primi decenni di quello successivo, il senato bolognese progettó e fece scavare un canale per convogliare le acque del Dardagna nel Silla, allo scopo di facilitare il trasporto del legname diretto a Bologna. Dell'opera, che non ebbe grande fortuna, restano solo vaghe tracce, ma da essa ha preso il nome il paese di Poggiolforato, un bel borgo che conserva ancora begli esempi della semplice architettura della montagna: per lo piú case e strutture di servizio in pietra, con copertura in lastre di arenaria, spesso adornate dai curiosi comignoli tondi. A Poggiolforato ha sede il Museo Etnografico della Cultura Montanara, in parte ospitato in un bell'edificio di aspetto settecentesco ma di origine piú antica, "Le Catinelle", dove spicca la ricostruzione di una tipica cucina della montagna, con il cosiddetto "re dei camini" (uno dei piú grandi dell'Appennino emiliano). Il museo dispone di una cospicua raccolta sui mestieri e i vari aspetti della vita domestica della gente di montagna a partire dal secolo scorso: oltre ad attrezzi di lavoro e oggetti casalinghi, una serie di immagini illustra le diverse fasi della coltivazione del castagno. Per informazioni rivolgersi Comune di Lizzano.

  

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ultima modifica 2019-01-29T17:01:30+02:00
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