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I primi insediamenti

foto:Salina di Comacchio - autore Liverani

Il primo importante insediamento, la greco-etrusca Spina, con la vicina necropoli, sorse nei pressi della foce del Po Spinetico presumibilmente intorno al VI secolo a.C. Fu un attivissimo centro di commerci tra Adriatico e entroterra padano, ma il progressivo alterarsi del profilo di costa e le invasioni galliche ne provocarono il rapido declino. In epoca romana cominció l'ascesa di Ravenna, con il vicino porto di Classe voluto da Ottaviano per ospitare la flotta del Mediterraneo orientale. L'apertura di strade consolari come la Via Popilia (in parte lungo il tracciato dell'attuale Romea) e lo scavo di canali come la Fossa Augusta, che congiungeva il Padoa con Ravenna, contribuirono a far uscire il territorio dall'isolamento, dando nuovo impulso alla navigazione interna, all'agricoltura e alla produzione di sale. Durante il dominio bizantino, sulle nuove terre formatesi alla foce del Po di Volano, sorse, da un primo nucleo benedettino, l'abbazia di Pomposa, che intorno al Mille divenne un importante centro culturale e religioso. Nel medesimo periodo, favorite dal progressivo declino di Ravenna, assunsero crescente rilievo Ferrara, che conquistó l'egemonia commerciale sulle vie d'acqua interne, e Comacchio, sede vescovile fin dal V secolo, grazie al porto e alle vicine saline. Il dominio dei traffici nella bassa pianura scatenó forti conflitti con Venezia e Comacchio subí ripetuti attacchi fino alla quasi completa distruzione. La rotta di Ficarolo del XII secolo, che spostó il corso principale del Po piú a nord causando la progressiva perdita di efficienza dei rami di Volano e Primaro, determinó lentamente la crisi del tradizionale legame di Ferrara con il fiume: la città ebbe un destino diverso, dedicandosi soprattutto al recupero di nuove terre coltivabili. 

Le grandi bonifiche

mappa del Seicento

I primi limitati interventi di bonifica degli Estensi, soprattutto nel XV secolo, furono la premessa della Grande Bonificazione attuata nella seconda metà del XVI secolo: una imponente opera di prosciugamento che fece del ferrarese uno dei maggiori cantieri di bonifica dell'Europa cinquecentesca. L'opera portó a un consistente aumento della superficie coltivabile, scontando peró le difficoltà di gestione e manutenzione di argini e "terre nuove": già sul finire del secolo, anche in seguito a fenomeni di subsidenza, alcune aree furono soggette a un rapido riallagamento. Alla fine del '500 Venezia approfittó del passaggio di Ferrara allo Stato Pontificio per riprendere l'antico progetto di deviazione del ramo principale del Po, allo scopo di allontanare dai porti della Serenissima la minaccia di interramento. Nel 1599 i Veneziani iniziarono il "taglio" del fiume in località Porto Viro: un intervento che alteró profondamente il profilo costiero, avviando lo sviluppo del delta moderno. I territori prosciugati dagli Estensi si impaludarono di nuovo, segnando la fine del grande progetto di bonifica, e contemporaneamente tutta la zona risentí anche della piú vasta crisi dei commerci mediterranei. Nel Polesine, inoltre, si moltiplicarono mareggiate, rotte e disastrose alluvioni in seguito a un generale peggioramento climatico, caratterizzato da forti precipitazioni (la cosiddetta "piccola età glaciale", tra il XVII e la prima metà del XIX secolo). Tra il 1850 e il 1860, infine, si verificó un mutamento decisivo nella storia delle bonifiche, l'introduzione delle macchine idrovore a vapore, che consentí di cominciare a dare una soluzione non piú settoriale ma globale ai problemi di questo territorio. L'ultima pagina di questo lungo processo sono state le bonifiche che, dai primi decenni del secolo fino agli anni '60, hanno definitivamente trasformato il paesaggio in una pressoché uniforme distesa di terre coltivate, attraverso un complesso sistema scolante affidato a canali e a impianti idrovori: nel ferrarese tra le piú importanti furono quelle delle valli Mezzano, Trebba e Pega; nel ravennate, poco a sud delle Valli di Comacchio, fu realizzato il Canale di Bonifica in destra di Reno, che richiese l'impiego di migliaia di operai (fra cui i cosiddetti "scarriolanti"). Oggi gran parte del territorio deltizio si trova sotto il livello del mare, anche in seguito allo sfruttamento delle falde e dei giacimenti metaniferi che hanno notevolmente accentuato la naturale subsidenza.

La cultura di valle

Chiusa

Per millenni l'uomo ha vissuto in questi luoghi dove il confine tra acqua e terra é mutevole. La raccolta della canna palustre e della caresina, utilizzate per la pesca e la costruzione di oggetti della vita quotidiana, é stata praticata ampiamente in passato e tuttora viene effettuata nella Valle di Gorino e nel Delta veneto. Le grandi estensioni di acqua salmastra, periodicamente allagate, hanno permesso la pesca di valle con metodi e strumenti tipici (pare che già nel XIII secolo fossero in uso complessi sistemi per la cattura del pesce). In corrispondenza delle aperture a mare delle valli, o nei canali interni, venivano posizionati i cosiddetti "lavorieri": trappole in graticci di canna palustre che, con un sistema di gabbie intercomunicanti a forma di cuneo, consentivano la cattura differenziata del pesce. Venivano cosí pescate in particolare le anguille, quando, dopo essersi accresciute nelle calde acque vallive, cercavano di nuovo la via del mare. Per la conservazione e il mantenimento del pesce ancora vivo si usavano la "bolaga", un grande recipiente sferico in cannuccia intrecciata mantenuto immerso nell'acqua, e la "marotta", un'imbarcazione sommergibile che veniva trainata nei lunghi spostamenti in mare. Della vallicoltura tradizionale é rimasto poco: gli antichi lavorieri sono stati sostituiti da quelli in cemento e gli specchi d'acqua sono diventati ampie vasche per l'itticoltura intensiva; solo i grandi casoni da pesca rimangono a testimonianza dell'antico paesaggio di valle.

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