Geomorfologia
Parco nazionale Appennino Tosco-Emiliano
Le arenarie
Alzando lo sguardo verso i rilievi maggiori del parco, si notano rocce grigio-marroni, caratterizzate da una stratificazione molto netta e costituite in larga misura da arenarie; per le differenze cronologiche e litologiche vengono distinte in arenarie del Macigno, del Monte Modino e del Monte Cervarola (gli ultimi due nomi fanno riferimento ai luoghi piú tipici dove queste formazioni affiorano). La sedimentazione di queste rocce risale all'Oligocene e al Miocene (da 35 a 17 milioni di anni fa circa) ed é avvenuta in ambienti di mare profondo dove giungevano, trasportati dalle correnti di torbida, enormi volumi di sabbie. Le torbide sono fenomeni improvvisi, pressoché istantanei dal punto di vista geologico, che si possono paragonare a catastrofiche valanghe di sedimento mescolato ad acqua. Innescate sul ciglio di scarpate continentali da sismi, piene fluviali o frane sottomarine, si muovono sino a raggiungere le aree abissali, dove abbandonano rapidamente il loro carico. La base di ogni strato arenaceo é l'espressione dell'arrivo di una torbida. La regolare stratificazione nelle formazioni torbiditiche é una ritmica alternanza di strati arenacei e argillosi; questi ultimi, che possono anche essere assenti o molto sottili, indicano la decantazione della parte fine, argillosa, della coda torbiditica, oppure sono il risultato della lentissima sedimentazione abissale che avviene tra due episodi torbiditici. Anche in queste arenarie sono evidenti le deformazioni dovute alle dinamiche crostali appenniniche. L'esempio piú bello é forse la piega rovesciata del Monte Cusna, ma anche gli intensi piegamenti che si osservano sui fianchi del Ventasso e le giaciture quasi verticali del Casarola e dell'Alpe di Succiso ne sono una chiara testimonianza. Queste rocce formano versanti ripidi, in genere rivestiti di vegetazione; dove invece la pendenza é eccessiva, le arenarie affiorano estesamente. In alcuni tratti appaiono profondamente incise dai corsi d'acqua, come lungo le suggestive forre degli schiocchi. Grazie alla loro scarsa erodibilità, sotto i crinali piú elevati, si possono riconoscere chiaramente, ancora ben conservati, i circhi modellati dai ghiacciai würmiani.
Le formazioni argillose
Nel parco capita di incontrare anche rocce argillose, spesso di colore scuro, che inglobano frammenti piú chiari di rocce calcaree o arenacee. Tra il Monte Ventasso e il Casarola, in corrispondenza di affioramenti argillosi molto erodibili, il crinale tra Secchia e Enza si abbassa vistosamente. Anche tra Monte Cusna e Bagioletto e al Passo di Lama Lite si trovano rocce argillitiche legate agli stessi ambienti di mare profondo in cui si formavano le torbiditi, su cui sono incise ripide forme calanchive. Le argille sono rocce con caratteristiche peculiari: l'acqua ne provoca il disfacimento e l'ammollimento, e si possono di conseguenza innescare con facilità fenomeni franosi. Negli affioramenti del parco le rocce argillose, appartenenti anche a differenti unità geologiche, appaiono tutte molto deformate e sconvolte.
I gessi della valle del Secchia
All'altezza di Bismantova, il Secchia attraversa una serie di modesti rilievi i cui versanti scendono sino all'ampio letto del fiume con spettacolari pareti rocciose di colore chiarissimo, ripide e spoglie, ben apprezzabili da vari punti del territorio e in particolare dalla cima del Ventasso. Questo insolito paesaggio si deve all'affioramento dei gessi triassici, che sono all'origine di un complesso sistema carsico con grotte, doline, inghiottitoi, anse ipogee e risorgenti di straordinario interesse ambientale. Ben riconoscibili anche a grandi distanze per il colore chiarissimo, sono caratterizzati da una struttura microcristallina che li rende simili a un bel marmo saccaroide. Di colore bianco, ma a volte anche grigio chiaro, arancio e rosa, i gessi inglobano masse rocciose diverse, tra cui si riconoscono scure dolomie dall'alto contenuto in materia organica, che percosse emanano un forte odore di uovo marcio. L'origine dei gessi é dovuta alla precipitazione di sali avvenuta, durante prolungate fasi di evaporazione in periodi caldi, negli ambienti di mare basso che caratterizzavano estese aree del futuro continente europeo nel Trias superiore (circa 200-220 milioni di anni fa); da questa origine deriva il nome piú generico di evaporiti. La stratificazione é oggi completamente sconvolta perché queste rocce, nella formazione della catena appenninica, sono state sottoposte a continui stress deformativi. A causa dell'elevata solubilità dei gessi, in queste rocce si manifestano i fenomeni carsici, che hanno dato origine su alcuni affioramenti a piccole doline, inghiottitoi e grotticelle.
Le morfologie glaciali
Durante il Quaternario, in un periodo compreso tra 2 milioni e 10.000 anni fa, si verificarono oscillazioni climatiche molto pronunciate, con lunghi periodi freddi, durante i quali quasi un quarto delle attuali terre emerse venne ricoperto dai ghiacci. Le glaciazioni investirono tutta l'Europa settentrionale e anche le vette piú elevate dell'Appennino furono interessate dallo sviluppo di ghiacciai: nelle montagne emiliane sono ancora riconoscibili le tracce dell'ultima glaciazione, il Würm, che si verificó tra 150.000 e 10.000 anni fa. Gli accumuli di neve perenne danno origine, con il tempo, a masse di ghiaccio che tendono a muoversi molto lentamente lungo i pendii. Questo movimento, e altri fattori come la frammentazione delle rocce per il gelo, creano forme tipiche. Nella iniziale zona di accumulo, appena sotto i crinali, si modellano i circhi, che hanno l'aspetto di conche sospese. Se l'alimentazione nivale é abbondante, dal circo puó partire una lingua glaciale che scende lungo la valle antistante. Le principali cime del parco custodiscono alcune tra le piú belle morfologie glaciali dell'Appennino, come i circhi compresi lungo i crinali tra Monte Acuto e Alpe di Succiso. Durante la massima espansione glaciale, da questi circhi scendevano lingue che si univano lungo la valle del Liocca, formando un ghiacciaio che raggiungeva l'altezza di Succiso; anche nell'alta valle del Secchia, una lingua glaciale giungeva nei pressi di Cerreto Alpi. Sottoposti all'azione erosiva delle acque, i circhi glaciali tendono oggi a essere lentamente smantellati. Nelle zone un tempo occupate dai ghiacciai sono in genere riconoscibili le morene, cioé i depositi dei detriti che la massa glaciale trasportava. In molti circhi del parco i depositi morenici formano dossi e collinette facilmente riconoscibili e spesso, sbarrando la conca, favoriscono la creazione di specchi d'acqua. Su vaste piane moreniche sono invece collocati i Laghi Cerretani e il Lago Mesca.
La zona dell'Orecchiella
In corrispondenza di monte Vecchio (1.981 m) dalla dorsale appenninica si stacca verso sud-ovest un contrafforte che raggiunge l'imponente massiccio calcareo della Pania di Corfino (1.603 m), fronteggiato dall'aspra e spettacolare catena delle Apuane. Si tratta dell'avamposto più meridionale del parco nazionale, un territorio di estremo interesse naturalistico per le estese e tormentate rupi calcaree che arricchiscono l'area protetta di scenari unici, dove fioriscono piante rare assenti nella vicina dorsale. L'area è parte del cosiddetto Parco Naturale dell'Orecchiella, nato una cinquantina di anni fa per far fronte al grave dissesto idrogeologico dell'alta Garfagnana a causa dei pesanti tagli dei boschi, dell'eccessivo pascolo e dello spopolamento dei territori più marginali. Il Corpo Forestale dello Stato negli ultimi decenni di gestione ha rimboschito gli spogli versanti montani, frenato il dissesto, effettuato ripopolamenti faunistici e creato le premesse per la valorizzazione turistica dell'area. Nel cuore dell'area si trovano le tre riserve naturali statali di Pania di Corfino, Lamarossa e Orecchiella, che vengono gestite dall'Ufficio Territoriale per la biodiversità di Lucca del Corpo forestale dello Stato. Le tre riserve sono state incluse nel territorio del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano con il decreto istitutivo del 2001. La prima tutela il versante più selvaggio dell'omonimo massiccio calcareo, segnato da spettacolari pareti rocciose, lembi boscati e radure che danno ospitalità a una ricca fauna appenninica con gruppi di mufloni, cervi e cinghiali che negli ultimi tempi hanno attirato anche il lupo. La riserva di Lamarossa si sviluppa invece intorno a una bella radura tra i boschi di faggio dove sgorga la sorgente omonima;le acque di ruscellamento, i prati umidi e gli acquitrini ospitano una vegetazione palustre con molte rarità floristiche tra cui alcuni relitti glaciali. Nella riserva naturale dell'Orecchiella, infine, sono situati i recinti di acclimatamento degli animali utilizzati per il ripopolamento dei territori vicini e uno dei più importanti centri pilota per la sperimentazione faunistico-venatoria. Le rocce calcaree che affiorano alla Pania di Corfino e nei vicini rilievi di Sassorosso e della Ripa di Soraggio, con ripide pareti a strapiombo che ricordano le vicine Apuane e qualche volta le Dolomiti, risalgono alle prime fasi del Giurassico (190 milioni di anni fa), quando in un ambiente marino poco profondo organismi in grado di fissare il carbonato di calcio diedero origine a imponenti scogliere di calcare, che oggi mostrano in più punti caratteristiche morfologie carsiche.
Approfondimenti
Il parco, che ha rilievi e versanti vallivi formati da rocce anche molto diverse fra loro e spesso fortemente deformate, é sicuramente rappresentativo della complessità geologica di questa parte emiliana della catena appenninica. Le rocce che affiorano nel parco sono quasi esclusivamente di origine sedimentaria e in molti punti é visibile la stratificazione che, in alcune formazioni, assume una regolarit à spettacolare.
Le ofioliti
Presenti nel Parco solo in piccoli lembi isolati, le ofioliti rivestono una notevole importanza per loro significato geologico. Per la loro scarsa erodibilità emergono nettamente rispetto alle rocce circostanti, solitamente di natura argillosa. Si tratta di rocce plutoniche, vulcaniche e spesso anche metamorfiche, che devono il loro nome al particolare aspetto, che puó ricordare la pelle di un serpente (dal greco ofios, serpente); le loro parti metamorfiche sono conosciute anche con il nome di serpentiniti. Facilmente riconoscibili per la colorazione nera o verdastra, sono rocce la cui genesi magmatica si colloca, intorno a 180 milioni di anni fa, in ambienti oceanici oggi completamente scomparsi. Nel parco si incontrano massi ofiolitici nella valle del Dolo e presso il Monte Bagioletto; fuori dal parco se ne osservano anche di maggiori nei pressi di Minozzo e Nigone.