Claudio Mori
Tecnico ambientale. Comune di Gattatico

Convegno "Le aree di riequilibrio ecologico: riqualificazione ambientale e tutela della biodiversità nella pianura" Bologna, 3 febbraio 1997

Avvertire la propria unicità con ogni forma di vita, e quindi rinunciare al proposito di conquistare la natura, di sottometterla, sfruttarla, violentarla, distruggerla, tentando invece di capirla e di collaborare con essa.
E. Fromm, Avere o essere?


Le aree di riequilibrio ecologico sono ambienti protetti che di norma derivano da interventi antropici diretti o indiretti.
Si tratta di interventi indiretti quando dopo l'esercizio di attività economiche, per lo più cave dismesse, determinate aree vengono abbandonate a se stesse e si innescano processi di ricostruzione spontanea delle cenosi vegetali ed animali.
Si tratta di interventi diretti quando, sempre partendo da un'area antropizzata si ricostruiscono artificialmente ambienti simili a quelli naturali.

Le ARE derivano primariamente da interventi antropici indiretti su cui anche a seguito di specifici programmi promozionali attuati dalla Regione Emilia-Romagna (aree boscate di pianura, forestazione naturalistica e programma Aree di Riequilibrio Ecologico) si attuano interventi di "rinaturazione" attiva mediante la redazione e l'attuazione di specifici progetti di intervento.

Ma è davvero possibile ricostruire artificialmente la "natura"?
Nell'accingersi alla redazione di progetti che hanno l'obiettivo di ricostruire spazi naturali, è doveroso porsi preliminarmente questa domanda.

Sul piano metodologico ma anche etico, è certamente il presupposto di partenza.
E' possibile "ricostruire" la natura o, più umilmente, come suggerisce in termini puramente etici Fromm dobbiamo semplicemente essere capaci di conoscerla, capirla ed assecondarla.

E' evidente che la natura non può essere "ricostruita", perché gli ecosistemi sono frutto di complessi equilibri dinamici non sempre facilmente interpretabili, perché gli organismi che li costituiscono si sono evoluti nel corso di milioni di anni anche in relazione alle caratteristiche ecologiche peculiari del territorio.

Una vera opera di "rinaturazione" consiste nell'assecondare inserendovisi organicamente le naturali e spesso articolate potenzialità ecologiche di un sito attingendo per l'esecuzione di questa opera dagli elementi di naturalità residui che insistono in quel sito o in un ragionevole intorno.

A questo scopo serve, è ovvio, un solido bagaglio scientifico e culturale che consenta di "capire" la natura, decodificandone almeno parzialmente l'enorme complessità. Bisogna però anche essere capaci di "vivere" la natura per entrare in sintonia con essa, acquisendo dati ed informazioni.

Capire e vivere la natura quindi per rispettarla nelle sue molteplici, non sempre (e non necessariamente) "spettacolari" espressioni e, in caso d'effettivo bisogno, per ricostruirla rispettando in quest'ultima ipotesi le potenzialità ecologiche intrinseche al sito di intervento e le sue peculiarità.

In questo senso il monitoraggio ambientale diviene indispensabile e strategico, un vero e proprio strumento per ricavare e validare i dati di base dei progetti di costituzione e di gestione delle Aree di Riequilibrio Ecologico.

Indispensabile per non danneggiare gli elementi di naturalità che spesso preesistono ai progetti di rinaturazione.

Strategico per poter individuare "modelli viventi" cui far riferimento nel corretto concepimento delle opere di rinaturazione. Una volta ultimate le opere, per poter valutare razionalmente l'efficacia di quanto attuato e gestire in modo adeguato il sito.

Ma cosa monitorare? In primo luogo i parametri fisici che caratterizzano l'area di studio, semplificando: aspetti morfologici (molte ARE sono cave dismesse!), idrogeologici e pedologici. Quindi gli esseri viventi che preesistono: analisi della copertura vegetale e dati floristici, popolamenti animali.

Queste analisi dovrebbero essere estese ad un congruo intorno dell'area di intervento, in particolare per i parametri biologici, al fine di poter acquisire dati su "modelli viventi" su cui concepire e/o tarare le ipotesi progettuali.

Schematicamente si possono individuare tre fasi di monitoraggio:

  1. preliminarmente come base delle scelte di progetto, per esempio quali sono i contenuti di naturalità esistenti, quale specie impiegare quali sono i parametri ambientali su cui è possibile e utile intervenire, quale evoluzione è ipotizzabile (biotopi, micro-ambienti, specie meritevoli di tutela che già esistono e che non debbono essere distrutti; esempio: praterie aride e prati umidi = non rimboschirli. Eventuale presenza di specie rare o di interesse biogeografico ecc)
  2. in fase esecutiva prima della cantierizzazione e nel corso dei lavori per correggere in corso d'opera eventuali errori progettuali o danni involontari alle cenosi vegetali ed animali preesistenti (bisogna agire con umiltà senza paraocchi avendo il coraggio di correggere anche in corso d'opera eventuali deficienze progettuali)
  3. una volta terminate le opere per verificare la validità delle ipotesi progettuali, per supportare un razionale e pertinente piano di gestione e per verificare nel tempo l'efficacia delle opere di tutela intraprese

La prima fase ha lo scopo di validare la "compatibilità" ambientale del progetto di rinaturazione : i dati raccolti consentono al progettista di tutelare adeguatamente gli elementi di naturalità già esistenti e di adeguare l'ipotesi progettuale alle potenzialità ecologiche, spesso diversificate, del sito.

La seconda e la terza fase hanno invece lo scopo di validare l'"efficacia" dell'intervento. Questa efficacia in termini sintetici e del tutto preliminari può essere espressa dal trend della biodiversità, ma anche dalla presenza di specie animali e vegetali endemiche, rare e /o a rischio di estinzione e dalla capacità dell'ARE di conservare nel tempo questi preziosi popolamenti.

Se l'obiettivo primario di una particolare categoria di area protetta, quale l'Area di Riequilibrio ecologico, è la conservazione ed il potenziamento della biodiversità anche in contesti ambientali fortemente antropizzati, la loro istituzione, la realizzazione di progetti di intervento e la loro gestione dovrebbero essere univocamente e consequenzialmente orientati all'ottenimento di questo obiettivo primario. A tal fine è utile esplicitare alcuni principi ecologici di base che dovrebbero essere implementati nei progetti e nei piani di gestione delle ARE e che dovrebbero essere tenuti in adeguata considerazione nella concezione di programmi di monitoraggio.

La perdita di biodiversità, intesa anche semplicemente come numero di specie animali e vegetali che possono vivere senza il diretto ausilio dell'uomo in un determinato ambito geografico, è generata in particolare almeno da tre fattori :

  1. perdita di spazio disponibile per riduzione dell'ampiezza degli habitat naturali;
  2. frammentazione degli habitat (spesso connessa al primo fattore);
  3. perdita di diversità ambientale.

Per quanto riguarda la riduzione e la frammentazione degli habitat naturali, in un ambito cosø fortemente antropizzato come la Pianura Padana, sarebbe velleitario e forse anche antistorico pensare di poter ricostruire le foreste e le paludi primigenie o di restituire ai fiumi in toto gli spazi sottratti dall'urbanizzazione e dall'attività agricola.

Risulta però altrettanto velleitario ipotizzare un progetto di tutela reale del patrimonio di biodiversità della pianura con l'istituzione di piccole "oasi" in un contesto ambientale fortemente antropizzato e generalmente degradato.

Anche alla luce della biogeografia delle isole, sembra più utile un modello territoriale a rete con nodi costituiti dalle aree di maggiore estensione (di solito taluni settori delle golene fluviali) e le maglie ricavate nelle aree marginali dell'attività antropica : corsi d'acqua minori, viabilità secondaria, confini di proprietà aree urbane marginali, aree agricole difficilmente coltivabili ecc.

I parchi, le riserve naturali e le ARE di maggiore interesse naturalistico o di dimensioni maggiori dovrebbero costituire i "nodi" della rete, ed avere un'estensione quanto più ampia possibile. La più parte delle ARE dovrebbe invece costruire i ponti biotici o come si suol dire i "corridoi ecologici" di interconnessione tra le aree protette di categoria superiore.

E' evidente come in questa ipotesi strategica le ARE non siano solo le sorelle minori delle aree protette più "nobili" ma ne costituiscono un indispensabile complemento, estendendo la tutela dell'ambiente naturale non solo a luoghi limitati ma a tutto il territorio. Si tratta di una strategia moderna di tutela ambientale che è intrinsecamente compatibile con lo svolgimento delle attività sociali ed economiche proprie dell'ambiente culturale. Rendere intrinsecamente compatibile e quindi "sostenibile" l'esercizio delle attività socio-economiche è del resto un obiettivo strategico per una società che si definisce moderna ed evoluta.

La diminuzione della frammentazione e aumento dell'habitat disponibile è del resto l'unica strategia ipotizzabile per la conservazione nel tempo di popolamenti animali e vegetali in particolare per quelli più vulnerabili.
Scendendo nella scala territoriale al livello della singola area di riequilibrio ecologico nella sua costituzione e nella sua gestione si dovrebbe tener conto del terzo fattore : della necessità di creare spazi caratterizzati per quanto possibile da una discreta diversità ecologica.

Ricostruire un bosco è utile, ma è forse più utile ricostruire un mosaico di ambienti.
Creare e mantenere nel tempo la diversità strutturale della vegetazione coglie pienamente questa esigenza. Zone d'acqua, praterie, cespuglieti, boschi sono gli elementi che costituiscono la diversità ecologica di un ambiente ("beta" diversità). Un ambiente monostrutturale è in grado di sostenere una minore diversità di organismi ("alfa" diversità) di un ambiente costituito da un mosaico di tipi strutturali e di tipi ecologici.

Inoltre è stato dimostrato come le fasce di transizione tra ecosistemi contigui, dette ecotoni, generano intrinsecamente diversità. Molte specie animali e vegetali vivono proprio in queste fascie di transizione, maggiore è l'estensione dell'ecotono magggiore è la biodiversità che un determinato ambiente può sostenere. Da questo consegue che è utile tracciare linee curve e tortuose nel passaggio tra due ecosistemi adiacenti al fine di massimizzare il rapporto perimetro/area.

In questo senso, in particolare nell'ambito dei programmi di gestione debbono essere valutati positivamente interventi antropici intelligenti finalizzati al mantenimento di questa diversità strutturale : lo sfalcio di una prateria consente ad esempio il mantenimento di specie che in assenza di intervento antropico verrebbero sopraffatte da specie di taglia maggiore. Il "disturbo moderato" è dimostrato scientificamente come fattore che genera biodiversità, attraverso una differenziazione strutturale dell'ambiente ed una diversificazione temporale dei popolamenti (disetaneità o "gamma" diversità) : Il mantenimento di spazi non soggetti in toto ad interventi di gestione attiva (come ad es. per le cenosi forestali) non è in questo contesto più importante del mantenimento di un prato umido sfalciato.

E' evidente che gli interventi gestionali dovranno essere attuati con tempi e modalità compatibili con gli obiettivi di tutela se il disturbo non è moderato la biodiversità viene ovviamente depressa.

Il monitoraggio a lungo termine delle aree protette, con particolare riferimento ai popolamenti di organismi rari e minacciati di estinzione o più semplicemente "tipici" degli ecosistemi che costituiscono l'area protetta, ha evidentemente lo scopo di validare i presupposti teorici che presiedono le strategie di tutela sommariamente accennati oltre evidentemente quello di fornire dati per l'elaborazione eventuale di nuove ipotesi teoriche.