Conclusioni
Renato Cocchi
Assessore regionale al Territorio, Programmazione e Ambiente
Convegno "Le aree di riequilibrio ecologico: riqualificazione ambientale e tutela della biodiversità nella pianura", Bologna, 3 febbraio 1997
Conclusioni dell'Assessore Cocchi
Il Convegno ha fornito un quadro molto ricco delle azioni e delle culture di intervento che le aree di riequilibrio hanno determinato per la tutela e il recupero della biodiversità. Non è su questo che voglio concludere, ma piuttosto mi preme soffermarmi su alcuni aspetti di impostazione e di carattere operativo che riguardano l'istituto delle Aree di Riequilibrio Ecologico .
Stamattina ne veniva ricordata l'originalità. E' qualcosa che le altre Regioni non hanno, di cui la Regione Emilia-Romagna si dotò a seguito della constatazione, mentre si mettevano in campo strumenti di protezione, che questi riguardavano essenzialmente la montagna lasciando fuori la pianura; in quel momento, dunque, fu riconosciuta la necessità di individuare forme di tutela anche per questi ambiti.
La legge regionale per le Aree Protette si inserisce oggi in un quadro di norme e disposizioni che dal 1988 si sono ampliate in modi diversi, fra cui il Piano Territoriale Paesistico Regionale come strumento più complessivo, con due caratteri diversi e complementari, di vincolo immediato e di programmazione, per sviluppare azioni.
Di conseguenza non abbiamo a disposizione uno strumento unico per tutelare la pianura, che non sarebbe sufficiente, rispetto ad un ambiente molto particolare, costruito per l'azione combinata dell'uomo con la natura.
L'evoluzione storico geologica della pianura, infatti, è avvenuta principalmente per l'azione umana di bonifica, come conseguenza dalle esigenze economiche.
E' necessario invertire la logica e tornare a ragionare mettendo i fattori di ordine naturale in primo piano.
La legge è comunque uno strumento sperimentale, rispetto al quale non esistevano certezze, nell'immediato, su quali risultati potesse dare.
Oggi abbiamo un'esperienza di alcuni anni, da cui possiamo desumere che è utile per azioni di recupero, riqualificazione, rinaturalizzazione e che in questo senso va utilizzato.
Il bilancio che possiamo fare degli anni passati è positivo:
sono stati realizzati 42 interventi, tutti a buon esito, su luoghi che erano aree degradate e abbandonate, residui di attività scomparse (maceri), con interventi di diversa tipologia (risanamento, costituzione di siepi, di aree umide, di prati umidi, ....) in tutti realizzando l'obiettivo di ricostruire e mantenere un francobollo di natura.
Alcuni hanno acquisito qualità e caratteristiche tali da poter divenire riserve, come nel caso delle Casse di espansione della Secchia, dove da un'area completamente artificiale in 10 anni, con l'azione di un lavoro attento, l'ambiente ha acquisito valori naturali di tale livello da consentire appunto la Riserva.
Ovunque, occasione e strumento per attività di educazione ambientale, informazione, coagulo di centri di volontariato. In tutti i casi miglioramento al tessuto territoriale e quindi il ruolo da attribuire alle Aree di Riequilibrio Ecologico è prima di tutto contribuire al miglioramento della qualità ambientale sul territorio.
Un bilancio, dunque, che costituisce stimolo e motivazione per attivare un nuovo programma, non per mostrare che abbiamo attenzione al problema, ma perché vogliamo procedere.
Per muovere in questa direzione bisogna prima dare risposta a problemi e questioni messe in evidenza dall'esperienza, nonchè precisare alcuni orientamenti programmatici.
Primo problema: adesso che sono realizzate, dove collochiamo le Aree di Riequilibrio Ecologico e che futuro prevediamo.
L'area di riequilibrio ecologico è una nuova fattispecie di area protetta o no? E' necessario essere chiari. E' vero che si tratta di uno strumento nato all'interno della legge sulle Aree Protette, però bisogna riflettere. Certamente non abbiamo bisogno di moltiplicare le fattispecie di Aree Protette rispetto alle due che indica la L.394. Serve piuttosto collocare diversamente queste due, ad esempio, non sempre è necessario ricorrere a Parchi Regionali; momenti al fine della gestione possono essere affidati ad altri livelli. Diventare A.P. non è un percorso obbligato per le Aree di Riequilibrio Ecologico:
può essere utilizzato, ma non può essere la regola, e non solo per problemi pratici, di gestione. Porsi il problema di cosa devono diventare le Aree di Riequilibrio Ecologico ha implicazioni forti sul piano strategico.
L' esigenza di riqualificazione del territorio di pianura è generale, con una dimensione che fa pensare che questo elemento debba riguardare tutto il territorio e che possa costituire elemento di traino per l'organizzazione complessiva; dobbiamo insistere perché le Aree di Riequilibrio Ecologico siano assunte in modo permanente, come "occasione", ma non speciale, straordinaria.
Una volta chiarito che le Aree di Riequilibrio Ecologico non fanno parte delle tipologie della L.394, va affrontato il problema di come devono essere sistemate in futuro.
A questo proposito, ritengo che debbano essere assunte nella pianificazione e nelle azioni di tutela comunali, introducendo tutte le determinazioni necessarie nel Piano Regolatore Generale.
Infatti, una volta istituite non possono tornare indietro e deve essere garantita la permanenza di quanto raggiunto e realizzato.
Attraverso il Piano Regolatore Generale deve quindi essere messo un vincolo perpetuo e come Regione è possibile emanare una direttiva in questo senso; se non fosse sufficiente, si può sancire per legge.
Come momento successivo, si pone il problema della regolamentazione: i Comuni hanno facoltà di farlo coi loro atti definendo modi e condizioni attraverso i quali si esplica.
Per quanto riguarda gestione e risorse finanziarie, la Regione continuerà ad assumersi il ruolo di promozione, ma i comuni dovranno farsi carico dei momenti successivi nella gestione ordinaria.
In questa linea si sviluppa anche l'argomento del mettere in rete: le modalità di azione sono avviate e sperimentate, ma deve crescere la capacità dei Comuni di cooperare e di attivare azioni di coordinamento.
Stiamo pensando anche a come e con quali mezzi (consulenza tecnica, ecc.) dare sostegno e contribuire all'attività delle aree che siamo andati a definire.
Le risorse ci sono: l'esperienza dei progetti dimostra che esistono nei Comuni, nel volontariato, nelle associazioni.
Il secondo versante da affrontate è il nuovo programma per le Aree di Riequilibrio Ecologico. Sono stati illustrati i criteri, che tengono conto delle condizioni già dette. Bisognerebbe introdurre priorità di merito: scegliere quella dei corsi d'acqua permette di realizzare corridoi ambientali, con un beneficio per la qualità ambientale complessiva.
Inoltre, questa scelta conferma quella già fatta col Piano Territoriale Paesistico Regionale che si dovrà arricchire con gli esiti dei Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Si presta quindi ad essere assunta con forza.
Rispetto ai corsi d'acqua siamo oggi in una fase delicata, in relazione alle politiche messe in campo dalla legge 183.
Mentre dal territorio viene una domanda forte, per utilizzare i fiumi come aree di valore ambientale e naturale, le esigenze ambientali del fiume vengono messe sempre in second'ordine, salvo quando scatta l'emergenza.
Abbiamo sentito nell'intervento di Ramazza un'elaborazione culturale nuova, che rappresenta un salto nella gestione del territorio. Non credo che l'Autorità di Bacino per il Po sia su un'altra linea, più lontana; nel caso si tratta di un'interlocuzione non immediata come per il Reno. E' stato chiesto di attivare un progetto speciale per i parchi fluviali, ma l'argomento non è sempre gradito alle altre regioni e la lontananza dell'Autorità insieme alla numerosità dei Comuni rende più difficili i rapporti.
Anche per aiutare questo processo, l'attenzione sui corridoi fluviali rappresenta una scelta di grande valore, che costituisce anche occasione per affrontare la questione dell'utilizzo delle aree demaniali.
Su questo sono state dette cose importanti e sono emersi atteggiamenti contradditori e assurdi, come la richiesta di pagamento di canoni assai onerosi al Parco, che opera nel campo della tutela e dell'interesse pubblico, mentre si consente di operare a fini economici ai privati, con utili irrisori, argomento già affrontato a Salsomaggiore nel corso del Convegno organizzato dal Parco dello Stirone.
E' stato richiesto che il demanio sia affidato alla gestione dei Parchi, ma il problema è di tutti gli Enti, affinchè possano utilizzare queste aree per scopi pubblici, mettendo in campo progetti. Con questo scopo è stata avviata un' iniziativa per stipulare un accordo con l'Ufficio del demanio. Si tratta di una questione da mettere in campo nella legge sulle deleghe, e può essere la chiave per la soluzione della difesa suolo. Una gestione oculata del demanio potrebbe essere la strada per pagare interventi ambientali. Bisogna sollecitare maggiore progettualità ai Comuni, spostare la questione in primo piano ed andare in posizione di forza ai tavoli della contrattazione.
Alla progettazione bisognerà naturalmente applicare tutti i contenuti di qualità qui discussi.
Sarà quindi necessario porre la massima attenzione ad un corretto utilizzo di piante autoctone, ad allargare gli elementi di tutela, ad evitare ospiti indesiderati che alterino gli equilibri dei sistemi (o si possono considerare equilibri nuovi alterazioni come il diffondersi del siluro?).
Si tratta, in conclusione, di aprire un nuovo ciclo di attività sul territorio.