Parchi, foreste e Natura 2000

Storia

Parco regionale Valli del Cedra e del Parma

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Gli antichi feudi della montagna

Nonostante gli occasionali ritrovamenti paleolitici ed etruschi, le condizioni climatiche e le aspre morfologie del settore orientale dell'Appennino parmense non hanno storicamente favorito gli insediamenti e l'apertura di direttrici importanti. Nella vicina valle del Taro, del resto, transitava una piú agevole via di collegamento tra la pianura e la Lunigiana, che fu percorsa da Galli e Romani e ebbe grande rilievo durante il medioevo. Le valli del Parma e del Cedra entrano a pieno titolo nella storia attraverso alcune istituzioni feudali segnate da una forte autonomia: le Valli dei Cavalieri, la Contea di Corniglio e la originale forma di autogoverno delle Corti di Monchio. La prima, che comprendeva la reggiana valle dell'Enza e la parte inferiore di quella del Cedra, era soggetta ai vescovi di Parma, ma per la posizione eccentrica rispetto alla città finí per essere governata da feudatari locali sino al 1448 (allorché gli Estensi si impadronirono di Reggio). Una vicenda analoga ebbe il feudo di Corniglio, poi trasformato in contea dai Rossi, signori di Parma. Situato in posizione strategica lungo una delle rare e impervie strade di questo territorio, quella del passo di Cirone, Corniglio si trova già citato in un documento dell'894 come Curtem de Cornialum in finibus Tusciae. Anch'esso sottoposto ai vescovi parmensi nei secoli XI e XII, fu in seguito oggetto di aspre contese tra Piacenza e Parma, che se ne impossessó nel 1221 e vi fece erigere un possente castello nel 1240. Oggetto di dispute tra le nobili famiglie parmensi, rimase ai Rossi sino ai primi del '600, quando entró a far parte dei possedimenti ducali dei Farnese. Singolare fu la pacifica democrazia sperimentata per secoli nelle Corti di Monchio, anch'esse legate ai vescovi di Parma ed estese nell'alta valle del Cedra e in limitate porzioni di quelle di Bratica e Enza. Il governo delle 14 corti (Monchio, Casarola, Ceda, Grammatica, Lugagnano, Nirone, Pianadetto, Riana, Rigoso, Rimagna, Trefiumi, Valcieca, Valditacca, Vecciatica), che sopravvissero come istituzione sino all'epoca napoleonica, era affidato a un podestà di nomina vescovile, che ebbe sede a Rigoso e poi a Monchio; in ogni villaggio un camparo sovrintendeva a prati e pascoli e ogni anno gli abitanti eleggevano un proprio console e alcuni consiglieri.

Strade montane e maestà

Paesaggio rurale di montagna a Casarola - Archivio ParcoLa vita quotidiana dei montanari di queste valli, dura come nel resto dell'Appennino, é proseguita per secoli in un tranquillo isolamento, che offriva agli abitanti anche innegabili vantaggi: l'asperità dei luoghi e i prolungati inverni, ad esempio, scoraggiavano invasioni e scorrerie e l'autonomia goduta dal territorio permetteva di contenere i tributi e rendeva piú facile il contrabbando con la Toscana e i possedimenti estensi. I sentieri verso il crinale, percorsi da pastori e greggi e da chi si avventurava sul versante opposto per scambiare i prodotti delle valli, erano costellati di immagini sacre scolpite in lastre di marmo bianco e incorniciate da decorazioni in arenaria. In tutto il territorio del parco le maestà sono particolarmente numerose, anche se spesso dimenticate e ricoperte di muschi e licheni, e si incontrano un po' ovunque, a lato delle strade, inserite nei massi erratici, lungo i sentieri che si inoltrano nei boschi e tra i pascoli, all'interno dei centri abitati. Sono riconducibili a tre tipologie fondamentali, di casa, di fonte e di via, a seconda che siano poste sui muri delle abitazioni, sui frontoni delle fontane o, in forma di edicola, lungo la viabilità. Tra le piú belle pietre che rimandano alla cultura e alle tradizioni del passato spiccano quella seicentesca incastonata nella facciata di una cappella del cimitero di Monchio, che raffigura una Madonna con Bambino tra i santi Lorenzo e Michele Arcangelo (protettori del paese), e quella ottocentesca di una casa di fronte alla chiesa di Sesta inferiore, dove é ritratto S. Pellegrino in veste corta e gambali (una simbologia tipicamente massese). Altri esempi di architettura spontanea legata alla vita quotidiana di queste montagne sono le fonti pubbliche, gli essiccatoi legati alla coltivazione del castagno e i pochi mulini ad acqua; a Pianadetto é ancora visibile un bell'esempio di bottega medievale.

Lo sfruttamento dei boschi 

Foto:castagneto autunnale in Val Bratica - autore Luca GilliAncora all'inizio del secolo scorso la notevole estensione dei boschi conferiva al paesaggio di queste valli un aspetto molto piú selvaggio di quello odierno. Le descrizioni ottocentesche raccontano di "densissime e ripidissime selve di faggio, fra le quali, oltre alle sferzate dei rami sul viso, il piede non é mai sicuro (...) con alberi che, talora incrocicchiandosi, impediscono il passaggio, tanto da rendere necessario l'intervento d'uomini armati di scure". La stessa Maria Luigia, duchessa di Parma, rimase colpita dalla loro affascinante bellezza e nel 1827, quando venne ampliato il grande parco del Casino dei Boschi, nei pressi di Sala Baganza (oggi cuore del Parco Regionale dei Boschi di Carrega), volle che vi fossero messi a dimora centinaia di faggi e abeti provenienti dai boschi intorno al Lago Santo. Nei primi decenni del '900, tuttavia, il paesaggio era già radicalmente cambiato: le fotografie scattate dal Corpo Forestale dello Stato mostrano versanti assolati e quasi privi di vegetazione arborea, dove il bestiame pascolava ovunque. A innescare il progressivo impoverimento del patrimonio boschivo era stato, a partire dalla metà del secolo XIX, l'incremento del prezzo del legname che favorí un massiccio sfruttamento delle risorse forestali, al quale presero parte sia imprese locali sia speculatori francesi e inglesi, che acquistavano interi lotti di bosco per poi assoldare squadre di tagliatori, mulattieri e carbonai. Questi ultimi, custodi di una vera e propria arte che affondava le sue radici nel secolo XV, divennero figure fondamentali nell'economia montanara, quando la richiesta di carbone destinato all'industria e al riscaldamento domestico raggiunse livelli molto elevati. Da aprile al termine dell'estate, un po' ovunque nei boschi, in piazzole di forma circolare delle quali ancora si intuiscono le tracce, venivano approntate le carbonaie: cataste di rami disposte a tronco di cono, rivestite di cotico erboso e provviste di un camino centrale, all'interno delle quali la legna bruciava con estrema lentezza. Questo prolungato sfruttamento provocó la distruzione di interi boschi (nel solo territorio comunale di Corniglio scomparvero 4.000 ettari di faggeta) e proseguí sino all'immediato dopoguerra, quando il carbone fu sostituito da altri combustibili. Già negli ultimi decenni del secolo XIX erano comunque stati imposti i primi vincoli statali e avevano avuto inizio, con la creazione di un consorzio forestale, i rimboschimenti che hanno finito per restituire parte dell'antico splendore ai boschi delle due vallate.

Approfondimenti

La Via del Sale

foto:Due bivacchi in Val Bratica - autore Marco RossiLe vallate di Parma e Cedra erano attraversate già nel medioevo da quella che piú tardi fu conosciuta come Via del Sale, perché in prevalenza utilizzata durante il periodo ducale per contrabbandare il sale dalla Toscana. Era una via di importanza decisamente inferiore rispetto alle due direttrici che lambivano questo territorio (la celebre via francigena lungo la valle del Taro e la strada di Linari per Rigoso e il passo di Lagastrello). La Via del Sale, come altre strade storiche, non era costituita da un'unica traccia chiaramente identificabile, ma da una trama di percorsi stretti e accidentati, in genere lastricati di pietre, che si intersecavano in piú punti secondo una tipica disposizione "a treccia". Prima di diventare una via quasi soltanto commerciale, nel medioevo era stata percorsa da viandanti e pellegrini e dotata di diversi ospitali. La localizzazione di questi ultimi ha consentito di ricostruire uno dei tracciati principali, che da Langhirano saliva a Beduzzo, si inoltrava nel territorio cornigliese a Ballone, toccando Sesta e Bosco, e poi valicava il passo di Cirone per scendere in Toscana a Ospedaletto Val di Magra. Un altro tracciato, proveniente da Schia, superava Monte Caio e raggiungeva il passo della Colla, sopra Valditacca, per poi salire al passo di Badignana e scendere a Treschieto. Lungo questa rete di malagevoli sentieri, che aveva negli antichi ponti in pietra importanti punti di riferimento, furono contrabbandati i prodotti piú svariati, dalla canapa al parmigiano. La merce di scambio erano soprattutto sacchi di sale marino toscano, piú a buon mercato di quello ducale prodotto a Salso. Naturalmente esistevano punti ben precisi dove i montanari parmensi e lunigiani si incontravano: i principali erano il passo di Cirone, la Bocchetta dell'Orsaro e, come suggerisce il nome, il sottostante pianoro di Borra del Sale.

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ultima modifica 2012-05-28T18:31:00+01:00
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