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Storia

Parco regionale Sassi di Roccamalatina

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La Pieve di Trebbio

 

foto: Pieve di Trebbio - Archivio ParcoLa documentazione archeologica per il medio bacino del Panaro, frutto quasi esclusivo di ricerche ottocentesche, é piuttosto scarsa e la presenza dell'uomo é attestata solo in località marginali al parco. Un reperto di età etrusca, il cosiddetto "bronzetto di Roccamalatina" (ora al Museo Civico Archeologico di Modena), é peró stato ritrovato a Borgo Freddo, a pochi metri dal confine dell'area protetta; rappresenta molto schematicamente un devoto ed é indizio dell'esistenza di un luogo di culto lungo una via che collegava le aree metallifere toscane con la Valle Padana. Sempre a Borgo Freddo furono rinvenute anche testimonianze di età romana, di cui rimane solo la precisa documentazione di A. Crespellani, che attribuí i reperti a un edificio sacro. A parte sporadici rinvenimenti di monete, il declino del mondo romano ha lasciato tracce soprattutto nei toponimi di fondi rustici derivati da nomi propri di lingua latina come Samone e Pugnano. Maggiori conoscenze si hanno sull'alto medioevo, quando nella zona, in seguito all'invasione longobarda, si attestó una linea difensiva bizantina: di questa presenza é rimasto un interessante toponimo greco, Agoné, a indicare un piccolo pianoro ai piedi dei Sassi dove un tempo si svolgevano giochi e gare militari. Tra i monumenti superstiti la chiesa di Trebbio riveste notevole importanza soprattutto per la ricchezza dell'arredo scultoreo. Proprio la datazione dei frammenti originali e il testo di un'epigrafe oggi perduta hanno suscitato dibattiti sull'epoca di fondazione, che la tradizione popolare attribuisce a Matilde di Canossa. Oggi sembra generalmente accettata l'esistenza di un primitivo edificio di epoca carolingia e di un secondo dell'XI secolo a cui é attribuibile tutto il materiale originale. La chiesa, dedicata a S. Giovanni Battista, é documentata come pieve solo nel XII secolo, ma probabilmente godeva già da tempo di questa qualifica. La Pieve di Trebbio nacque come chiesa dipendente dall'antichissima Pieve di S. Maria di Monteveglio, centro spirituale di un distretto rurale romano-bizantino, il pago Montebellium, ma molto presto divenne essa stessa chiesa matrice e pieve. Un'enfiteusi del 996 dell'Abbazia di Nonantola cita per la prima volta, insieme a Guiglia, la località Trebbio, un toponimo abbastanza comune ma con un'etimologia complessa; in questo caso é probabile la derivazione dal latino trivium, incrocio di tre vie; un'interpretazione avvalorata anche oggi dalla vicinanza di un incrocio di piú strade, tra cui un percorso di crinale altomedievale che risaliva la valle del Panaro. La pieve godette di una florida situazione economica e di notevole potere: pare accertato che fosse dotata di una collegiata di canonici e che già nel 1291 avesse 19 cappelle dipendenti, tra cui quelle di Guiglia, Pugnano, Castellino delle Formiche, Rocca di sopra e di Rocca di sotto.

 

Le Rocche dei Sassi e i Malatigni

Stemma dei Malatigni - Archivio Servizio ParchiI due piccoli villaggi ai piedi dei Sassi, un tempo chiamati Rocca di Guidone e Rocca di Sigizo, facevano parte di un vasto sistema fortificato disposto intorno alla Pieve di Trebbio e ai Sassi. Lo storico Paolo Mucci ne parla come di "uno dei piú singolari insediamenti umani della nostra montagna", dandone una vivace descrizione: "I tre macigni di arenaria, detti Rocca di sopra, Rocca di sotto e Roccazzuola, fortezze naturali protette a ovest e a sud da un'unica scogliera a picco, erano stati resi abitabili, per lo meno i primi due, scavandovi gradinate a spirale, cisterne, ripostigli, grotte, forni e perfino ampie camere, e rivestendo e integrando l'opera con impalcature lignee e muri a calce; il tutto completato da sbarramenti, ripari, balaustre, tettoie, passerelle...". Signori di questo complesso, che era ricordato anche nel loro stemma (tre monti sormontati da altrettante rocche sovrastate da un'aquila ad ali spiegate), furono i Malatigni, la cui stirpe acquisí il nome da un Malatigna (soprannome composto da "mala", malvagia, e "tinea", tignola), di cui si ha notizia attorno al 1170. I primi documenti sulle proprietà dei Malatigni nei Sassi risalgono alla fine del XIII secolo, ma la mancanza di atti di investitura fa pensare a un dominio di fatto, quindi molto piú antico. Nelle vicende militari del '200 e del '300 i Malatigni si schierarono alternativamente con Bologna e con Modena, finché, donato ogni loro avere nei Sassi agli Estensi, li riottennero in feudo insieme a diritti e immunità ma perdendo in realtà ogni potere politico. Nel 1405, la successiva investitura estense del territorio di Guiglia, con le Rocche e Trebbio, ai Pio, signori di Carpi, segnó la fine della carriera feudale dei Malatigni e anche del periodo di splendore della pieve, che seguí poi le vicende politico-amministrative della podesteria di Guiglia.
 

I secoli della decadenza

foto: formella dell'antico Ospitale dei Sassi - Archivio ParcoCon il cambiamento della situazione politica le borgate intorno ai Sassi si spopolarono lentamente (nel '500 erano quasi deserte) e la comunità rurale si spostó gradualmente verso est, fino a insediarsi nell'odierna Rocca Malatina. Inizió cosí il rapido declino: le opere di fortificazione caddero, anche i ruderi furono a poco a poco cancellati e le rocce dei Sassi, che si andavano già naturalmente disgregando, furono utilizzate come cave di pietra. Nemmeno la Pieve di Trebbio venne risparmiata: il suo giuspatronato, forse appartenuto in precedenza ai Contrari, signori di Vignola, passó ai Pio, che nel 1515 ottennero di comprendere la chiesa nella giurisdizione di quella carpigiana e, per assicurarsi comode rendite, affittarono il suo beneficio terriero di "vigneti, boschi e pianure" prima a sacerdoti e poi a laici. L'incuria di cappellani e affittuari aggravó la generale situazione di decadimento che perduró per quasi tre secoli, portando anche alla perdita delle cappelle dipendenti, mentre la podesteria di Guiglia passava dai Pio agli Aldrovandi di Bologna, agli Estensi-Tassoni, ai Pepoli e infine ai Montecuccoli, feudatari di Castellino delle Formiche, che la tennero fino al 1796. Le cronache, a proposito di questo lungo periodo, registrano solo avvenimenti di poco conto, che tuttavia aiutano a dipingere il quadro di un'economia contadina legata in buona parte allo sfruttamento dei boschi, soprattutto querceti e castagneti. Nel XVI secolo, ad esempio, venivano mandati dai podestà di Guiglia alla corte di Ferrara prodotti provenienti dalla Pieve di Trebbio: uve moscatelle, pere garavelle, castagne verdi e "mazzi di calme da maroni da inserirsi nei giardini ducali". E a Ercole II venivano inviati "dui falconi pigliati al lor nido asperissimo nel loco dicto la rocha de Malatigni". Nel '700 la pieve era tanto malridotta che le cronache riportano il crollo del tetto e l'inizio dei lavori di riparazione (1726) che la trasformarono in un edificio di stile barocco. Nuovi restauri ebbero luogo nel 1822, quando Trebbio tornó a essere una parrocchia autonoma della curia di Modena. La chiesa attuale é il risultato di molti rimaneggiamenti, spesso radicali, come quelli dei primi del '900 che, nel tentativo di ritornare alla chiesa romanica, alterarono profondamente ció che di veramente antico si poteva ancora riconoscere. Molte parti furono rifatte, aggiunte e completamente ricostruite: la facciata, il sarcofago sopra il portale e il battistero, costruito con pietre di recupero della facciata per contenere la preziosa vasca battesimale. Nonostante queste arbitrarie ricostruzioni, la pieve é ancora un luogo pieno di fascino, sia per la bella posizione un po' appartata, sia per la mole severa; senza dubbio costituisce una delle mete irrinunciabili per chi visita il parco, insieme alle spettacolari vette dei Sassi, che inducono a immaginare il loro aspetto di un tempo, punteggiato di abitazioni e fortificazioni medievali, e a fantasticare sulla scorta delle numerose leggende che su di esse sono fiorite.
 

Case-torri e torri rondonaie

foto: la torre di castellaro - Archivio ParcoLe case-torri e le torri difensive sono esempi di architettura medievale molto diffusi nella media montagna modenese e anche nel parco, soprattutto le torri colombaie e rondonaie, sono fra le piú antiche e caratteristiche tipologie costruttive. Dopo i secoli in cui il paesaggio era segnato dalla presenza di edifici religiosi, rocche e castelli, con il declino della grande possessione feudale cominció a svilupparsi maggiormente l'edilizia rurale, commissionata da ex coloni o nuovi piccoli proprietari ai maestri comacini, artigiani lombardi specializzati nella lavorazione della pietra che già avevano contribuito alla diffusione dello stile romanico in Emilia-Romagna. A partire dalla seconda metà del '300 sorsero le case-torri, corpi unici che, dovendo rispondere a molteplici esigenze, si configuravano contemporaneamente come edifici rurali, abitazioni e fortificazioni. Nel parco begli esempi di queste costruzioni massicce e essenziali si trovano a Pugnano, la Grilla e all'entrata del borgo di Samone Poggiolino; in parte riattate e trasformate, conservano ancora piccole finestre in arenaria a sesto acuto e resti di antichi portali. Nei secoli seguenti fino al '600 si diffusero invece vere e proprie torri private, a pianta quadrata e piú snelle, che si elevavano sopra le abitazioni o a fianco di esse e servivano come luogo di rifugio, spesso per diverse famiglie. Nella torre venivano anche predisposti, a scopo alimentare, numerosi fori per la nidificazione dei rondoni e bifore o finestrelle per l'ingresso dei colombi. La parte superiore della torre, con le aperture distribuite secondo un preciso disegno decorativo, era separata dalla parte abitata da un caratteristico cornicione in pietra o in mattoni e munita di coppi smaltati agli angoli contro le incursioni dei topi. Torri rondonaie e colombaie sono presenti nel parco a Pugnano, la Grilla, Vignola, Verzano e al Castellaro, dove svetta di guardia ai Sassi una bella torre isolata con oltre 200 aperture per i rondoni, costruita su una precedente struttura difensiva.

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ultima modifica 2012-05-28T18:34:00+01:00
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