Parchi, foreste e Natura 2000

Storia

Parco regionale Stirone e Piacenziano

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Dalle terramare alla fondazione di Fidenza

Il popolamento di questo territorio, abitato già 100.000 anni fa, risale al diffondersi nel terzo millennio della civiltà terramaricola, uno dei fenomeni demografici piú imponenti della Padania preistorica. Con il nome di "terramare", "marne" o "mariere", i contadini erano soliti indicare cumuli di terra grassa e scura, particolarmente ricchi di depositi organici perché derivati dal progressivo disfacimento dei villaggi preistorici, che vennero tradizionalmente utilizzati come fertilizzante almeno a partire dalla seconda metà del '700. I primi insediamenti si localizzarono nella fascia collinare ma successivamente alcuni sorsero anche in piano, su palafitte, lungo i paleoalvei dei corsi d'acqua che rappresentavano inesauribili miniere di materiali litici. Le terramare piú prossime allo Stirone sono ancora richiamate nella toponomastica: Terramara e Montata sui versanti vallivi del Ghiara, vicino a Salsomaggiore; Montata dell'Orto sulla sponda piacentina. In seguito il territorio fu interessato solo marginalmente dalla cultura villanoviana, mentre piú documentata é la presenza etrusca, che sulle colline di Fidenza raggiunse il limite occidentale di espansione. Dopo una breve dominazione gallica, nel II secolo a.C. la zona venne assoggettata dai Romani, ai quali si deve la fondazione, lungo la Via Emilia, di Fidentia; proprio per consentire l'attraversamento dello Stirone lungo il decumano massimo della città venne costruito un ponte in muratura di cui é ancora visibile un'arcata sotto la porta S. Donnino, a poca distanza dalla cattedrale, dove un tempo scorreva il torrente. L'interesse dei Romani per un territorio ancora ampiamente selvaggio fu accentuato dalla presenza del sale. A quel tempo le saline dovevano presentarsi come depositi formatisi per l'evaporazione di acqua sorta spontaneamente dal sottosuolo sotto la spinta di emulsioni gassose e la loro importanza é attestata dall'apertura di una strada tra Salso e Fidenza, che entrava in città dalla cosiddetta porta salsediana.

Dai Longobardi ai Farnese

foto: mosaico sul portale d’ingresso della chiesa di S. Genesio raffigurante il Santo - Archivio ParcoAl tempo di Longobardi e Franchi la valle dello Stirone ricominció a popolarsi, dopo gli sconvolgimenti seguiti alla caduta dell'impero romano. Nelle zone rivierasche le case-torri o colombare presero il posto delle capanne dei primi insediamenti medievali. Nell'edificazione delle nuove abitazioni si privilegiarono i materiali piú a portata di mano: ciottoli e pietrame di fiume sono ancora visibili in alcune antiche colombare che, soprattutto sulla riva parmense, svettano da edifici colonici piú recenti. Successivamente piccoli agglomerati, con le case addossate le une alle altre, sostituirono gli insediamenti isolati e questa forma abitativa é sopravvissuta sino ai nostri giorni nei piccoli borghi che punteggiano la media valle dello Stirone (Trabucchi, i Passeri, Case Orsi). Per tutto il medioevo, l'unica importante via di comunicazione a intersecare lo Stirone fu la Strada Francigena che ricalcava un tratto della Via Emilia fino a Fidenza, nel frattempo divenuta Borgo S. Donnino (in onore del martire cristiano decapitato sulla riva sinistra del torrente). La mancanza di arterie di collegamento non favorí, come nella vicina valle del Taro, la fondazione di pievi e ospizi. Tra gli edifici religiosi solo la chiesetta di S. Nicomede, per quanto ripetutamente restaurata, é con certezza anteriore al mille. Il luogo fu a lungo meta di pellegrinaggi per la presenza di una fonte, Fons Limosa o Fontanabroccola, alla quale erano attribuiti poteri miracolosi. La tradizione popolare vuole che i pellegrini compissero il viaggio alla fonte trasportando un masso sopra la testa e che, una volta giunti a destinazione e bevuta l'acqua, si sentissero immediatamente liberi dal mal di capo; l'accumulo dei massi depositati dai fedeli avrebbe fornito il materiale per l'edificazione della chiesa, che curiosamente mostra elementi rocciosi di varia provenienza. Al periodo medievale risalgono anche le numerose fortezze che caratterizzano il territorio, a lungo dominato dai marchesi Pallavicino. Per proteggere le saline, grande fonte di reddito, furono edificati i castelli di Bargone, Scipione e Tabiano a formare un immaginario triangolo in difesa di Salso, dalla metà del XIV secolo definita "capitale del sale". Il ricordo della potenza dei Pallavicino rimase anche dopo il 1545, quando Parma e Piacenza, con i Farnese, furono erette in ducato autonomo: il territorio di Fidenza mantenne a lungo la denominazione di "Stato Pallavicino".

Saline e acque termali

foto: borgo medioevale di Vigoleno che sorge in posizione panoramica sulla valle dello Stirone - Archivio ParcoI Farnese apportarono importanti ammodernamenti agli impianti di estrazione del sale. Le acque, infatti, avevano già perduto la risalenza spontanea e si era resa necessaria l'applicazione di meccanismi per il sollevamento. E' di questo periodo l'introduzione del "pozzo della ruota", un supplizio al quale erano condannati gli ergastolani: una ruota a scalini mossa dai galeotti, che vi camminavano sopra, al cui asse erano collegate funi che issavano e immergevano secchi nel pozzo. Il sale veniva poi estratto facendo bollire l'acqua: una pratica che richiese grandi quantità di legname, tanto che fino al secolo scorso furono in vigore leggi ducali per disciplinare l'incessante opera di disboscamento. Ai boschi si sostituirono cosí i campi, e le acque dello Stirone vennero incanalate e sfruttate per servire i mulini sorti nella zona rivierasca tra Vigoleno e Fidenza. Nel 1731 il ducato passó ai Borboni e piú tardi, al tempo di Maria Luigia, all'attività salifera si affiancó quella termale. La reggia ducale, che fino ad allora era solita trasferirsi a Bagni di Lucca in Toscana, adottó come nuove mete termali le vicine Salsomaggiore e Tabiano. Negli anni successivi gli studi del dottor Berzieri, il primo a intuire le proprietà terapeutiche dell'acqua salsoiodica, contribuirono a far crescere la fama di Salsomaggiore. L'inaugurazione del primo stabilimento (1839) rappresentó l'inizio di un periodo di splendore per tutta la zona, che anche oggi é uno dei luoghi termali piú frequentati d'Italia. L'applicazione di macchine a vapore e, successivamente, lo sfruttamento dell'energia elettrica negli impianti estrattivi determinó una fioritura di pozzi che prelevavano acqua a profondità sempre maggiori. Nelle campagne intorno a Salsomaggiore, ne sono ancora visibili alcuni: piccoli e curiosi edifici, con una sorta di lungo camino, che somigliano a fornaci in miniatura.

Il Piacenziano

Studiando gli estesi affioramenti della val d'Arda, il geologo svizzero Karl Mayer utilizzò per la prima volta nel 1858 il termine Piacenziano per indicare le argille marnose grigio-azzurre del Terziario (di cui cita gli affioramenti di Castell'Arquato contenenti il piccolo gasteropode Nassa semistriata). Nel 1865 il geologo Lorenzo Nicolò Pareto riprese il termine riferendolo al Tortoniano (un'età del Miocene superiore), descrivendo come località tipiche le colline attorno a Castell'Arquato, in particolare la successione di strati esposta nei calanchi di Monte Giogo. Da allora il Piacenziano è divenuto uno stabile tassello nella scala stratigrafica, anche se gli autori non lo hanno usato sempre in modo univoco e in molte cronologie anche recenti viene utilizzato per indicare il Pliocene inferiore. Nel 1967 F. Barbieri ridefinì in modo formale, sulla base delle moderne procedure, il Piacenziano come piano del Pliocene superiore (il Pliocene inferiore prende oggi il nome di Zancleano), e adottò per questo uno stratotipo frazionato in tre sezioni stratigrafiche per un totale di 700 m di spessore esposti lungo la val d'Arda: i calanchi di Monte Giogo, quelli dei monti Falcone e Padova e un breve segmento a sud di Castell'Arquato. Con l'istituzione nel 1995 della riserva  (ora inclusa nel Parco regionale dello Stirone e del Piacenziano è stata così riconosciuta anche la grande importanza culturale di questo bene geologico, in piena sintonia con la Dichiarazione internazionale dei diritti della Memoria della Terra stilata a Digne nel 1991.

Le ricerche paleontologiche

Il ricchissimo patrimonio paleontologico delle colline piacentine suscitò attenzione già nel secolo XVIII, quando alcuni appassionati locali diedero vita alle prime collezioni. L'approccio scientifico alla paleontologia delle colline piacentine si deve però a Giuseppe Cortesi, consigliere del tribunale di Piacenza e poi professore onorario di geologia all'Università di Parma, che dalla fine del '700 compì ricerche sistematiche, anche assoldando osservatori per il periodico controllo degli affioramenti, e arrivò a riunire un patrimonio di straordinario valore, dove ai moltissimi gusci di molluschi si sommano gli spettacolari resti di grandi mammiferi marini e terrestri. Negli anni Cortesi costituì una collezione ricchissima, di cui un primo nucleo, acquistato nel 1809 dal Regno Lombardo Veneto e in seguito custodito nel Museo Civico di Milano, venne purtroppo distrutto da un bombardamento durante il secondo conflitto mondiale. Nel 1841 Maria Luigia fece acquistare per il Gabinetto di Storia Naturale dell'Università di Parma il secondo nucleo della collezione Cortesi, che si può ancora ammirare presso il Museo Paleontologico Parmense. Un'altra figura di grande ricercatore fu Giovanni Podestà, un ricco proprietario terriero a cui si devono ritrovamenti di delfini e balenottere; anche la collezione Podestà è conservata in gran parte presso il Museo Paleontologico Parmense. A cavallo tra '800 e '900 fu attivissimo anche l'avvocato Odoardo Bagatti, che raccolse e acquistò numerosi reperti in parte conservati a Castell'Arquato. Al dottor Antonio Menozzi, infine, si deve il ritrovamento nel 1934 di una balenottera nei calanchi di Monte Falcone (lo scavo é documentato da un filmato dell'Istituto Luce).

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ultima modifica 2013-11-13T18:09:00+02:00
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