Parchi, foreste e Natura 2000

Storia

Parco regionale Taro

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Dalle terramare ai Romani

La convivenza tra l'uomo e il Taro ha origini molto antiche, come testimoniano i manufatti litici databili a 100.000 anni fa che sono stati rinvenuti nei terrazzi rissiani in prossimità di Noceto e Medesano. Ma é soprattutto con il fiorire della cultura terramaricola che le zone rivierasche cominciarono a popolarsi. Di tutta l'Emilia il parmense é l'area piú ricca di "terramare", nome con cui i contadini indicavano cumuli di terra nera e grassa tradizionalmente utilizzati come fertilizzante. In realtà si trattava dei resti di semplici villaggi di capanne risalenti a 3.500 anni orsono, costruiti sui rilievi collinari e poi, su palafitte, anche nelle bassure acquitrinose in vicinanza del fiume (nei pressi di Collecchiello, Vicofertile, Medesano). Già allora la valle del Taro era un importante corridoio di collegamento tra popolazioni emiliane e tirreniche e per questa direttrice, nell'età del Ferro, penetrarono i Liguri, una popolazione celtica che a lungo condivise questo lembo di territorio con le poche tribú villanoviane giunte dall'Emilia orientale. Anche la colonizzazione etrusca, nel momento della massima espansione, si spinse fino al Taro, come dimostra una ricca dotazione funebre rinvenuta nei pressi di S. Pancrazio. Nel IV secolo, dal nord, le tribú celtiche calarono in massa sull'Italia e dal parmense fino al bolognese si insediarono i Galli Boi. Nel 183 a.C. i Galli vennero assoggettati dai Romani, che in pochi anni completarono una grandiosa strada, la Via Emilia, che collegava Rimini con Piacenza. L'impronta lasciata dalla colonizzazione romana sul territorio é sopravvissuta fino ai giorni nostri. Una volta bonificati, i terreni dell'agro parmense furono assegnati ai coloni secondo la tipica suddivisione del territorio in quadrati detti centurie. Sulla riva sinistra del fiume questo disegno é ormai andato perduto, ma sulla riva destra, nelle campagne tra Madregolo e Vicofertile, é ancora chiaramente leggibile.

 

Pievi, castelli e canali

 

la corte di Giarola in una mappa del XVIII secoloAlla caduta dell'impero romano il territorio cominció a spopolarsi e la natura ebbe di nuovo il sopravvento: il paesaggio che, sul finire del VI secolo, accolse i Longobardi era un susseguirsi di malsane bassure fangose, cespuglieti e fitti boschi. Di questa dominazione sono rimaste varie tracce, tra cui un'importante necropoli nei pressi di Collecchio, e anche la fondazione delle pievi romaniche che punteggiano la valle si puó far risalire alla conversione dei Longobardi al Cristianesimo. Durante la successiva dominazione dei Franchi, buona parte delle campagne ai margini del fiume entró in possesso dei vescovi di Parma: risale a questo periodo l'introduzione di unità agrarie autosufficienti, le "corti", strettamente dipendenti dall'acqua del fiume, di cui un esempio significativo é quella di Giarola. Nella costruzione dei fabbricati rurali rivieraschi ciottoli e sabbie sostituirono legno e paglia, e vennero cosí avviate le prime cavazioni dal Taro; già qualche secolo piú tardi, per disciplinare l'asporto degli inerti, si rese necessaria una regolamentazione che portó all'istituzione della corporazione dei cassonieri. Del tormentato periodo medievale oggi restano solo alcuni dei castelli e delle rocche che punteggiavano la zona: uno dei meglio conservati, sulla Via Emilia, é quello di Castelguelfo, appartenuto ai Pallavicino, e a Noceto sono ancora visibili il mastio e un torrione dell'antico maniero. Di altri, come quello collecchiese di "Manchapan", di dantesca memoria, si sono invece perdute le tracce. Sempre al periodo medievale risale la prima vera giurisdizione, esercitata in maniera incrociata da feudatari, vescovi e comune di Parma, sul fiume e i numerosi canali che ne captavano le acque, parzialmente ricalcando l'antica idrografia romana. Il piú importante, il Naviglio di Taro, venne fatto costruire dai Visconti: avrebbe dovuto consentire la navigazione e il trasporto delle merci verso Parma, ma in realtà le acque vennero sfruttate, insieme a quelle del Canale Otto Mulini, per muovere le numerose macine esistenti sulla riva destra del fiume.

 

Dai Farnese ai nostri giorni

 

Corte di Giarola: scorcio dal lato est(archivio Parco)Quando Parma e Piacenza vennero erette in ducato autonomo (1545), l'intero territorio del Taro passó ai Farnese. Le terre strappate alle paludi e al fiume, soprattutto sulla riva sinistra, furono trasformate in risaie e poi in pascoli estremamente produttivi. Durante questo periodo ebbero un notevole incremento anche l'allevamento del bestiame per la produzione di latte, l'industria casearia e la conservazione dei salumi attraverso la salagione e la stagionatura. Intorno alla metà del '700, con l'avvento dei Borboni, nelle campagne parmensi inizió un profondo processo riformatore, avviato dal ministro Du Tillot: molti boschi lasciarono posto ai coltivi e nelle campagne cominció a diffondersi il gelso bianco, strettamente legato allo sviluppo dell'industria sericola. Sempre al periodo dei Borboni risale l'usanza, diffusa tra le famiglie nobili della città, di costruire ville padronali e casini di campagna a fianco delle case coloniche. Nei pressi del Taro vennero edificate splendide residenze, come le ville Anguissola e Zobolo, circondate da parchi spesso completati da laghetti e giardini all'italiana. Sempre nel secolo scorso il fiume, deviando di circa un chilometro dal suo corso, provocó vasti impaludamenti nei pressi di Medesano, dai quali si diffusero forti epidemie malariche che resero necessaria una ulteriore bonifica con la realizzazione del Canale della Salute. Nel medesimo periodo trovarono piena applicazione le innovative tecniche agronomiche sperimentate anni prima da Du Tillot, spesso a scapito della componente naturale: cominció cosí la lenta ma inesorabile trasformazione del paesaggio, anche se le zone rivierasche conservavano ancora una notevole bellezza. La fine del secolo scorso fu caratterizzata da un ulteriore, costante incremento delle attività agricole e industriali, e per assecondare lo sviluppo della nascente economia nel 1882 venne inaugurata la ferrovia Parma-La Spezia. Il definitivo colpo di grazia ai delicati equilibri del fiume venne dato nell'immediato dopoguerra quando, con l'avvento della meccanizzazione, inizió il rapido sfaldamento dell'antico assetto rurale e furono drasticamente ridotti i lembi di bosco ancora esistenti. A partire dagli anni '50, inoltre, il fiume subí una enorme estrazione di materiale ghiaioso dall'alveo e dai terrazzi piú prossimi, che ebbe inizio con i lavori per la costruzione dell'autostrada Parma-La Spezia, e i vari insediamenti industriali sorti negli ultimi decenni hanno completato la trasformazione di un paesaggio che il parco é ora chiamato parzialmente a recuperare.

Approfondimenti

La via Francigena

Nel Medioevo la media valle del Taro era percorsa da una delle principali strade romee dell'epoca, la cosiddetta Via Francigena o Francesca, per la prevalenza di viandanti provenienti dalla Francia. La strada, che aveva profondi significati religiosi, superate le Alpi al Gran S. Bernardo, attraversava il Po nei pressi della confluenza con il Trebbia, e da Piacenza, dopo un tratto di Via Emilia fino a Fidenza, si inerpicava sui rilievi appenninici per dirigersi a Roma e ai porti di Bari e Brindisi, da dove salpavano le navi per la Terrasanta. Dei tracciati per superare l'Appennino, il piú agevole e frequentato fu proprio quello che risaliva la valle del Taro e valicava nei pressi del Passo della Cisa. La moltitudine di pellegrini e mercanti di razze e civiltà diverse conferí alla strada caratteristiche europee, facendone una delle arterie medievali culturalmente ed economicamente piú importanti. Come tutte le strade romee, la Via Francigena era costellata di pievi romaniche e ospizi, la cui localizzazione ha consentito di ricostruirne il tracciato. Verso la Cisa esistevano due possibili itinerari: il primo, lasciata la Via Emilia nei pressi di Coduro, toccava gli xenodochi di S. Margherita e Borghetto prima di raggiungere Medesano, dove si innestava su una antica strada consolare fino a Fornovo. Il secondo toccava Parma, risaliva la riva destra del Taro, lambendo le pievi di S. Pancrazio, Vicofertile, Collecchio, Talignano e Fornovo, e proseguiva per la strada di Monte Bardone. Entrambe le direttrici persero successivamente di importanza: quella in riva sinistra per il crollo del ponte di Fornovo, spazzato via da una piena sul finire del XIII secolo; l'altra in seguito all'apertura, a metà del XVIII secolo, del Passo della Futa, che spostó i traffici per Roma piú a sud.

Storia della Corte di Giarola (pdf29.67 KB)

 

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ultima modifica 2013-05-08T12:20:00+02:00
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