Fauna
Parco regionale Monte Sole
I mammiferi
Il parco è caratterizzato da un'abbondanza di specie unica nell'ambito della media montagna bolognese: l'abbandono pluridecennale e l'elevato grado di diversificazione ambientale hanno contribuito ad arricchire le presenze faunistiche.
Tra i mammiferi, oltre alle specie piú comuni e diffuse (riccio, lepre, ghiro, moscardino, donnola, faina, volpe, tasso) le presenze piú significative sono costituite dagli ungulati che, scomparsi nei secoli passati, hanno ricolonizzato la zona negli ultimi decenni.
Il primo a tornare è stato, nella seconda metà degli anni '70, il cinghiale: tipico abitatore dei boschi maturi di querce, castagni e faggi, trova nel Monte Salvaro uno degli ambienti piú adatti, ma frequenta tutte le aree del parco, riparandosi anche nei cedui piú degradati e negli arbusteti. In seguito è ricomparso il capriolo, grazie alle reintroduzioni nell'alto pistoiese e alla conseguente espansione. Nonostante l'elevata qualità ambientale del parco, questo animale dalle forme particolarmente aggraziate e dall'interessante comportamento stenta peró a raggiungere buone densità. L'osservazione del cervo è in genere piú facile: nell'area tra Monte Sole e Monte Baco dagli inizi degli anni '80 vive un piccolo nucleo di una ventina di capi e altri individui cominciano a frequentare il settore meridionale del parco provenendo dall'alto Appennino (Monte Calvi, Monte Vigese, Montovolo). Ancora piú facile risulta l'avvistamento al crepuscolo di qualche branchetto di daini al pascolo, specialmente tra i monti Caprara, Abelle e Sole. La specie, che si distingue per la coda relativamente lunga e mobile, la maculatura del pelame estivo e i palchi palmati dei maschi adulti, non è autoctona, ma originaria dell'Asia Minore: grazie alla facilità di allevamento, già in epoche remote venne introdotta in Italia e ha trovato nuova fortuna negli ultimi decenni. Lanci volontari e fughe accidentali hanno permesso al daino di espandersi in quasi tutta la media montagna e la collina bolognese, talvolta entrando in diretta competizione col capriolo.
Il cinghiale
Il cinghiale, sterminato nel nostro Appennino tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, é tornato a popolare le stesse zone solo in tempi relativamente recenti, grazie a ripetuti lanci clandestini curati da locali circoli venatori. Dotato di grande adattabilità, di buona mobilità e di elevati rendimenti riproduttivi, in poco tempo ha notevolmente espanso il proprio areale. Se la reintroduzione del cinghiale ha indubbiamente arricchito gli ambienti di alta e media montagna, contribuendo a rivitalizzare ecosistemi resi esausti da secoli di sfruttamenti, la sua rapida espansione fino alla media collina e il forte impatto con le colture agrarie hanno, invece, creato seri problemi gestionali. Di costumi crepuscolari, il cinghiale non é facilmente osservabile: piú di frequente si rinvengono i segni del "grufolamento", col suolo smosso o addirittura arato per azione del rigido muso alla ricerca di cibo, e le impronte di zoccoli e speroni. E' una specie abbastanza gregaria: una o piú femmine adulte ("scrofe"), i loro piccoli e i giovani formano un branchetto piuttosto instabile, che in aree ricche di cibo puó temporaneamente fondersi con altri. I maschi adulti ("verri") e vecchi ("solenghi") tendono a vivere solitari, unendosi ai gruppi femminili solo per la riproduzione, per lo piú in novembre e dicembre; i verri di 4 o piú anni sono decisamente massicci e dotati di canini ben visibili trasformati in vere e proprie zanne.
Gli uccelli
Per quanto riguarda l'avifauna, recenti indagini hanno evidenziato che nel parco sono presenti, nell'arco dell'anno, pressochè tutte le specie tipiche della fascia collinare e sub-montana dell'Appennino emiliano, ben 65 delle quali nidificanti.
Le piú frequenti sono specie legate ai boschi cedui di latifoglie come capinera, fringuello, ciuffolotto, pettirosso, scricciolo, luí piccolo, cuculo e ghiandaia; piú localizzate, ad esempio nei castagneti di Monte Salvaro, sono quelle tipiche dei boschi maturi, come picchio verde, picchio muratore e rampichino. Anche specie abbastanza rare nel resto della fascia appenninica hanno qui trovato ambienti a loro confacenti, grazie al grande sviluppo e alla varietà dei cespuglieti. E' il caso della sterpazzolina, un piccolo silvide dal petto rosso-arancione con evidenti mustacchi bianchi che è tipico della macchia mediterranea e raro e molto localizzato a nord dell'Appennino, o del luí bianco, che frequenta i versanti esposti con vegetazione termofila della media e alta montagna. Tra gli altri uccelli che vivono nelle zone cespugliate sono da ricordare, per la particolare abbondanza, averla piccola e sterpazzola, divenute abbastanza rare in Italia e in Europa.
Per la presenza di numerose radure e strade bianche si riscontrano elevate densità di succiacapre, che utilizzano questi ambienti per catturare in volo gli insetti durante la notte. Ricca e interessante è anche l'avifauna lungo il greto e le sponde di Reno e Setta: oltre a numerose ballerine bianche, sono presenti corriere piccolo e martin pescatore. Tra i rapaci diurni nidificanti il piú comune è la poiana, localmente detta anche "falco cappone", per l'abitudine di cacciare cavallette saltellando nei prati durante l'estate; meno comuni ma presenti un po' ovunque sono sparviero e gheppio. Di rilievo è la nidificazione del falco pecchiaiolo, un rapace grande quanto la poiana, con la quale viene spesso confuso, che deve il nome al fatto di alimentarsi soprattutto di larve e adulti di api (pecchie), vespe, bombi e altri insetti. L'allocco è certamente il rapace notturno piú diffuso, grazie alla capacità di utilizzare per la nidificazione cavità situate in ruderi, alberi e piccoli balzi rocciosi. Il gufo comune nidifica, invece, nei nidi abbandonati di cornacchie grigie e gazze, mentre barbagianni e civetta trovano rifugio in fienili e case rurali abbandonate.
E' presente anche l'assiolo, localmente noto come chiú, il piú piccolo dei rapaci notturni europei, che a differenza delle altre specie si alimenta prevalentemente di grossi insetti e altri invertebrati. Durante il periodo riproduttivo e l'estate si osservano di frequente anche specie come albanella minore, falco pellegrino, lanario, rondine montana, topino e rondone alpino, che nidificano in aree contigue delle valli del Reno e del Setta e frequentano il territorio del parco per scopi alimentari.
Gli anfibi e i rettili
Le sponde di Reno e Setta, le pozze e gli stagni artificiali ospitano le comunissime rane verdi e la mimetica raganella, che caratterizza con i suoi sonori e metallici gracidii le serate primaverili. Anche rana agile e rospo comune frequentano gli habitat acquatici, ma solo al momento della deposizione delle uova. Nelle acque ferme di pozze e stagni, in primavera, è facile scorgere i tritoni crestato e punteggiato. I rii minori che scendono dallo spartiacque Reno-Setta sono inoltre l'habitat ideale per la rana appenninica, una specie strettamente legata alle acque correnti. Tra i serpenti la biscia dal collare è il piú tipico predatore di rane, rospi e tritoni. Piuttosto comune, dai boschi alle zone coltivate, è il biacco, un colubro lungo e agile, di colore spesso nerastro, che caccia lucertole e ramarri. Abbastanza diffuso è anche il saettone, un abile arrampicatore che preda piccoli uccelli e micromammiferi. Nel parco non manca la vipera comune, che abita in preferenza margini di boschi, radure, siepi e cumuli di pietre. Luscengola e orbettino, infine, nonostante le apparenze, non sono serpenti ma lucertole particolarmente allungate: la prima, che possiede due paia di rudimentali zampette, vive nei prati incolti e cespugliati, il secondo, del tutto privo di arti e assai piú lento, frequenta boschi, radure e prati umidi.